29 aprile 2024
Aggiornato 01:30
Fusione Bpvi e Veneto Banca

Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, cosa bolle in pentola a Bruxelles e a Roma

La Bce deve decidere sulla ricapitalizzazione precauzionale delle due banche venete, ma il loro salvataggio non è affatto scontato. Molti problemi restano irrisolti e una certa atarassia del Tesoro desta qualche preoccupazione

Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan.
Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Foto: ANSA/ DANIEL DAL ZENNARO ANSA

VENEZIA – Il salvataggio di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca non è scontato. Il governo Gentiloni ha presentato a Bruxelles la richiesta ufficiale di ricapitalizzazione precauzionale alla Banca centrale europea e ora la prossima mossa spetta all'istituto di Francoforte, che dovrà stabilire l'ammontare dell'aumento di capitale necessario per assicurare la salvezza alle due banche venete. Ma restano molti nodi irrisolti. E l'atarassia del Tesoro in sede comunitaria solleva alcune perplessità.

Leggi anche: "Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca verso una fusione rischiosa (con l'aiutino di Stato)"

La Bce deve decidere sulla ricapitalizzazione precauzionale
Il nodo delle due banche venete è tutt'altro che sciolto. La Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno fatto richiesta di ricapitalizzazione precauzionale al Mef, alla Banca d'Italia e alla Banca centrale europea. E il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, sta «lavorando ai dettagli tecnici» con gli esperti di Bruxelles per porla in essere, come ha riferito dopo il colloquio mattutino sul nodo banche che si è svolto nella giornata odierna con la commissaria Ue Margrethe Vestager. Ora spetta all'istituto di Francoforte stilare un calcolo preciso dello shortfall reale (l'eccedenza di valore delle perdite attese), al fine di determinare l’aumento di capitale necessario – dovrebbe aggirarsi sui 5 miliardi di euro – per il salvataggio dei due istituti.

I problemi sul piatto per la sopravvivenza di Bpvi e Veneto Banca
Ma diverse criticità restano sul piatto. La prima riguarda le scarse adesioni per l'offerta dei mini-rimborsi lanciata dalle due banche venete. Qualora non dovessero raggiungere l'80%, difficilmente Popolare di Vicenza e Veneto Banca riuscirebbero a disinnescare la mina delle cause legali a cascata, che complessivamente potrebbero costare alle banche fino a 5 miliardi di euro: praticamente quanto l'aumento di capitale in ballo. In questo caso la risoluzione degli istituti di credito sarebbe inevitabile e scatterebbe il bail in. In extremis la soglia di efficacia potrebbe anche essere abbassata al 65-70%, ma al di sotto di questa l'intera operazione sarebbe inutile perché non salverebbe le casseforti delle banche dalla prospettiva dei troppi contenziosi.

Il «no» dei «grandi soci» alla fusione delle due banche venete
La finestra per le adesioni si chiude il 22 marzo, e solo allora sarà possibile tirare le somme. La seconda criticità riguarda il fatto che «i grandi soci» hanno appena detto niet alla fusione. Come riporta il Corriere del Veneto, la presa di posizione è arrivata nell’incontro del 13 marzo tra l’amministratore delegato di Montebelluna, Cristiano Carrus, e il presidente della rediviva associazione «Per Veneto Banca», Matteo Cavalcante. Nel faccia a faccia il «no» alla fusione è stato quantomai deciso: «Continuiamo a ritenere insensata un’operazione tra due malati e una fusione presentata come la scatola magica che risolve i problemi, senza considerarne di decisivi come la concentrazione di credito» ha dichiarato Cavalcante.

Un matrimonio ad alto rischio tra due «pozzi senza fondo»
Secondo i «grandi soci», Veneto Banca ha più possibilità di salvarsi da sola. Magari trovando degli acquirenti internazionali. Vale la pena ricordare che noi del Diariodelweb avevamo già sottolineato quanto rischioso fosse il matrimonio tra Popolare di Vicenza e Veneto Banca, che insieme contano 8,5 miliardi di sofferenze. Una cifra monstre. Inoltre, entrambe hanno un income ratio (il rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione) sopra il 90% (la media europea è intorno al 68%). In parole povere significa che hanno costi di gestione molto alti e che spendono più di quello che guadagnano. In gergo vengono definite per questo «stargate»: pozzi senza fondo. Per rientrare delle perdite le due banche dovranno ricorrere a una drastica riduzione del personale (il che significa che diverse migliaia di posti di lavoro salteranno) e questa sembra la strada profilata in quel di Bruxelles.

Le ragioni dietro l'atarassia del Tesoro in quel di Bruxelles
Ai più acuti, inoltre, non è sfuggita una certa atarassia da parte del Tesoro in sede comunitaria per risolvere il nodo banche venete. Ed è impossibile non ricordare che l'attuale amministratore delegato dei due istituti, Fabrizio Viola, venne recentemente silurato dall'ex premier Matteo Renzi dalla sua poltrona di Ad nella banca più antica del mondo. Al suo posto, al Monte Paschi Siena, su diretta indicazione del governo giunse il nuovo Ad Marco Morelli. Perciò, come sottolinea Michele Arnese su Formiche.net, ora sarebbe più che giustificata una certa disarmonia tra il banchiere e il titolare del Mef, Pier Carlo Padoan. E forse non è un caso che le banche venete non abbiano ricevuto nessuna parola di incoraggiamento dal ministero dell'Economia a proposito della delicatissima operazione delle offerte di rimborso destinate agli azionisti, dalla quale dipende de facto la sorte delle banche. Ma il governo, forse, dimentica che al destino dei due istituti è legata anche tutta l'economia del territorio.