Malus-bonus, regali in cambio di tagli pesanti: ecco la nuova idea di società di Renzi & co.
Irrompe sulla scena per la prima volta nel 2014, in occasione delle elezioni europee ed è diventato il simbolo delle redistribuzione della ricchezza durante il governo Renzi. A fronte di un taglio, di una tassa, di una perdita di sicurezza, giunge una regalia.
ROMA - Irrompe sulla scena per la prima volta nel 2014, in occasione delle elezioni europee. Prima era un concetto afferente con le polizze assicurative delle automobili: è il bonus. Da quel momento non è più uscito dal panorama semantico italiano, ed è diventato il simbolo delle redistribuzione della ricchezza durante il governo Renzi.
Latinorum ed inglesorum
Il bonus in latino può essere utilizzato come sostantivo e significa «uno d’onore, di valore, onesto», mentre utilizzato come aggettivo è «lieto, prospero, fausto, grande, abbondante». La sua qualità risiede nell’immediata comprensione del contesto in cui si muove, un significato che intreccia la percezione linguistica comune, che riconduce senza indugi ad un dimensione di generosità e ricchezza. D’altro canto, nella comunicazione di questi due anni, mai come prima ha irrotto la terminologia inglese, in particolar modo quella mutuata dalle riforme reganiane degli anni ottanta, che cadevano sotto la dicitura «act».
Il più famoso è il Jobs Act
In Italia giungono come un novità bizzarra, un’americanata fuori tempo massimo, che ricorda stranezze della lingua, i famosi latinorum che don Abbondio utilizzava con il povero Renzo Tramaglino al fine di confonderlo e mitigare la sua ira. Il più famoso è il Jobs act, rigorosamente plurale. Lo scarto – perdonate la divagazione - è interessante perché quella piccola «s» richiama una vecchia diatriba giuslavorista, che differenziava lo «statuto dei lavoratori» dallo «statuto dei lavori». Un dettaglio non di poco conto da un punto di vista filologico. In Italia, questo arcano che sussume il nuovo concetto di lavoro, o lavori, indispensabile per essere competitivo sul mercato globale, ha prodotto questi risultati: da gennaio ad agosto 2016: +28 % licenziamenti «disciplinari» (per giusta causa e giustificato motivo). Prosegue invece il calo assunzioni stabili: -33 %. Boom dei voucher: +36%. Fine, punto e a capo. Non è necessario approfondire l’analisi linguistica per comprendere la logica della nuova comunicazione governativa. Latino di semplice comprensione per i regali, inglese per le riforme più dure che incidono sull’economia generale, e quindi sulla società. Sempre che la società esista ancora. Il combinato non può che correre intrecciato, ed è sintomatico del nuovo assetto economico verso cui tende l’Italia. Che diverrà irreversibile nel caso in cui la riforma costituzionale venga approvata dalla maggioranza dei cittadini a dicembre.
Malus bonus
Esattamente come nelle polizze assicurative, il binomio bonus malus, dove il secondo viene sostituito da circonlocuzioni oscure in inglese, è inscindibile. A fronte di un taglio, di una tassa, di una perdita di sicurezza, giunge una regalia. Il rapporto tra i due è ovviamente squilibrato a favore del secondo. Almeno questo è quanto si evince dalla politica economica che porta avanti il governo, caduta sotto l’egida di un altro totem linguistico: «riforma». Di bonus gli italiani ne hanno visti in successione: dapprima il bonus degli 80 euro ad alcune categorie di lavoratori salariati, soprattutto statali, poi il bonus agli insegnanti successivo alla «riforma» della Buona Scuola, poi il bonus bebè, e il bonus per i diciottenni. Una tantum, aperture di portafoglio che si contrappongono ai malus. A fronte degli ottanta euro è stato abolito lo statuto dei lavoratori che ha portato ai catastrofici dati occupazioni pubblicati dall’Istat in questi giorni, con un aumento senza precedenti dei licenziamenti per motivi economici. Ed alla successiva trasformazione di questi contratti in forme di lavoro atipiche, che però diventano sempre più tipiche: come i voucher. Si può essere anche d’accordo su questa forma di lavoro all’americana, che di fatto sta distruggendo la classe media, ma è necessario ricordare che il processo «Malus bonus» porta alla costante flessione della domanda interna e quindi ad una spirale deflattiva. Questo lo si può affermare senza tema di smentita, dato che viaggiamo nell’ottavo anno di stagnazione deflattiva.
I conti della serva
Facendo una banale somma algebrica, ovviamente semplificativa di un modello molto complesso, si può sostenere che il modello «malus bonus» porta ad un inesorabile risultato negativo. In termini clinici, l’economia e la società italiana sono affitti da una grave e cronica patologia, a fronte di gravi amputazioni vengono somministrate cure poco più che palliative. Il bollettino medico che ogni semestre produce l’Istat non lascia spazio ad alcuna speranza in merito a tale schema. Il malato sta morendo, ma ogni tanto gli si porta una fetta di dolce. Eppure si prosegue. E così giungono appunto i bonus un po’ a casaccio: per giovani, insegnanti, e famiglie. Una tantum che non incidono minimamente sul meccanismo dell’aspettativa di Keynes, fino ad ora non «rottamato» nonostante sia vecchi di ottanta anni.
Un regalo ogni tanto a fronte di tagli pesanti
In un contesto culturalmente e socialmente depresso, scaturente dai malus, i bonus non vengono spesi in consumi. Anzi, incrementano la quota di risparmio, perché la classe media a cui solitamente sono indirizzati ha piena percezione del mondo che si sta sfaldando intorno ad essa. Una regalia, ogni tanto, quindi. A fronte di tagli draconiani sempre. La regalia in occasione delle elezioni, come nel 2014, come oggi in prossimità del referendum, con un manovra economica sconsiderata. Questo nell’ipotesi la riforma venga respinta. Nel caso vincesse il sì,e quindi il potere del parlamento fosse ridotto in condizioni ancora più miserevoli di quello in essere, il processo malus bonus potrebbe passare al solo malus. Un governo fortissimo, scevro dal rischio del doppio passaggio parlamentare, che problema avrebbe a trasformare il binomio nel solo monomio «malus»? Solo amputazioni, e nemmeno una fetta di torta.