28 marzo 2024
Aggiornato 10:00
Goodbye brexit?

Brexit: no, Westminster non ratificherà la volontà del popolo britannico

L’Alta Corte britannica ha sancito che la Brexit votata dal popolo britannico necessita del via libera del parlamento di Westminster. Questo passaggio parlamentare è diventato l'incubo di Theresa May. Cosa accadrà? La previsione è fin troppo semplice

Westminster potrebbe non ratificare la volontà del popolo britannico.
Westminster potrebbe non ratificare la volontà del popolo britannico. Foto: Shutterstock

LONDRA - Come in un tragico dramma scopriamo che la realtà è finta, una rappresentazione grottesca che non regge più. Seduti di fronte allo spettacolo della democrazia qualcuno si pone davanti a noi ci dice: «ehi, è tutto finto. Non devi crederci.» Finto è lo sport professionistico, finti sono i media, finta è persino la partecipazione dei cittadini, chiamati non più a esercitare un potere, ma a indossare una maschera.

Goodbye Brexit?
L’Alta Corte britannica ha sancito che la Brexit (LEGGI ANCHE «La Brexit non c'entra: le banche se ne vanno da Londra perché non vogliono pagare le tasse») votata dal popolo durante un referendum molto combattuto solo pochi mesi fa necessita del via libera del parlamento di Westminster. Le ragioni sono prettamente formali, e per molti versi affondano le radici in una procedura bizantina da cui si evince che un governo non può attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona senza il via libera del parlamento. Come noto l’Alta Corte ha accettato il ricorso di una business woman della city, Gina Miller, e di un parrucchiere ignoto, tale Do Santos. Una donna d’affari e un uomo senza volto, umile, povero, immigrato: una coppia perfetta, almeno mediaticamente. Davide che batte Golia, la metafora più abusata della storia, si spreca.

La farsa della democrazia occidentale
Il vastissimo fronte dominante inglese che si batte contro la brexit, con ogni mezzo, canta vittoria. La loro tesi era semplice, ma evidentemente efficace: lasciare l'Unione senza prima aver consultato l'assemblea legislativa è una violazione dell'accordo con cui, nel 1972, il Regno Unito aveva aderito alle comunità europee. I giudici gli hanno dato ragione ed hanno scritto: «La Corte accetta l'argomentazione principale dei ricorrenti e non accoglie le argomentazioni avanzate dal governo, che ritiene questo voto inutile».Quindi il governo dovrà accettare. Il passaggio, per quanto drammatico, sarà sicuramente pedagogico. Perché farà emergere senza alcun dubbio il teatro, la farsa, della nostra povera democrazia occidentale. Ridotta a melodramma. «Come gli attori, accorti a non fare apparire l’imbarazzo sul volto, vestono la maschera, così io, sul punto di calcare la scena del mondo, dove sinora sono stato spettatore, avanzo mascherato (larvatus prodeo. E’ la celebre farse di Cartesio, scritta il primo gennaio 1619. Dovranno cadere le maschere di coloro che, per un attimo, hanno pensato di potersi nascondere dietro l’esito referendario britannico. Il processo non dovrebbe essere lungo e non dovrebbe portare particolari conseguenze: se si segue un principio razionale e candido.

Ma il «Candido» di Voltaire ben altra storia insegnava
Il voto popolare, origine e fine di ogni tipo di democrazia decente, perché va al di là della rappresentanza esprimendo la volontà diretta, si è espresso: Westminster, il re, la regina, la corte, i ministri, Carlo il principe, l’ultimo tassista di Londra, il primo banchiere della city, altro non potrebbero fare che ratificare la volontà popolare. Un passaggio formale. Ma ricordate forse voi cosa accadde in Grecia solo due anni fa (LEGGI ANCHE «Varoufakis: Quando la Grecia affondava Renzi si schierò con la Merkel e oggi ne paga il prezzo»)? Ricordate il voto contro l’austerità, contro il ricatto della trojka? Ricordate la vittoria del «No» a tutto questo? O forse ricordate le dimissioni di Varufakis e la giravolta carpiata del primo ministro, ancora in carica, Tsipras, che accettò poi tutte le condizioni originarie, più quelle punitive volte a dare una lezione a tutti gli altri discoli europei che vedevano in quel moto di libertà greco, una via di fuga all’impoverimento dilagante? Oppure, quelli con la memoria più lontana, ricordano il voto referendario italiano sull’acqua pubblica: quando stravinse la volontà che sanci(va?) che dall’acqua non debba essere legata al concetto di plusvalore.

Il passaggio parlamentare britannico è l'incubo di Theresa May
Quante città hanno portato avanti quell’esito? Una: Napoli. Roma? Zero. Torino? Qui addirittura si prelevano i fondi accantonati per metterli dentro il bilancio del Comune, come un bancomat qualsiasi. Idem per tutte le altre città italiane. Non solo: il decreto Madia riapre bellamente quel capitolo che pareva chiuso. Ma queste sono le misere parentesi nostrane. Ben più sostanzioso è il passaggio parlamentare britannico, vissuto dal governo di Teresa May come un incubo. E non solo da lei, perché anche dalle parti del Labour il voto più prossimo che venturo appare come una trappola insuperabile. Come noto, le organizzazione politiche, specialmente quelle di sinistra a causa di un inestirpabile senso di colpa, vivono grazie alle donazioni, finanziamenti, sostegno chiamatelo come volete, delle grandi organizzazioni finanziarie. In particolare il Labour party, dopo la tragica reggenza di quel Tony Blair che oggi lavora per Jp Morgan (la banca d’affari che ha dettato la riforma costituzionale su cui dovremo esprimerci) avrà immense difficoltà. «Che fare» è una domanda che dal 1917 echeggia nelle alte menti del variegato mondo progressista: ratificare il voto popolare in tre minuti, o tirarla per le lunghe, o assecondare i sacri desideri del mondo della finanza, delle lobbies, delle multinazionali, che vorrebbero semplicemente cancellare tutto? Vale per Jeremy Corbyn, come per tutti gli altri politici britannici, ovviamente.

La previsione, ahinoi, è fin troppo semplice
Ed è per questa ragione che, quel piccolo voto che dovrebbe essere la voce del popolo, metterà in luce lo spettacolo teatrale farsesco. I politici inglesi speravano di poterla sfangare saltando questo passaggio, ma gli è andata male. Dovranno proprio dire: «noi siamo qui a rappresentare il popolo che si è espresso. Bene o male non importa. Che ci sia la catastrofe finanziaria (che non arriva però) o meno non importa. Noi votiamo ratificando quella scelta.» La Gran Bretagna è il paese delle scommesse. Chi scrive, scommette qualsiasi cosa che non lo faranno. O sarà un processo lunghissimo, infinito. Che di fatto renderà la Brexit, e la democrazia, almeno quella diretta esercitata con il referendum, un vecchio arnese di altri tempi (LEGGI ANCHE «Brexit, in Gb cresce l'occupazione. Intanto in Italia svalutano sempre e solo il lavoro»).