Le banche italiane zavorrate da crediti marci. Finiranno nella pancia dello Stato come vorrebbe Visco?
I crediti deteriorati (Npl) sono pari a 88 miliardi di euro. In realtà ne valgono solo un quarto: verrà istituita una bad bank che li trasformerà in debito pubblico?
ROMA - Si chiamano Npl (Not performing loans): sono i crediti deteriorati che il sistema bancario ha in pancia. Uno dei molti vulnus che rendono il credito italiano debole e poco attrattivo. Secondo recenti studi presentati al XXIII Forex di Modena da Ignazio Visco, le sofferenze nette valevano, nel giugno del 2016, 88 miliardi di euro, ovvero il 4,8% dell’intero ammontare dei prestiti nazionali. Una cifra impegnativa, anche perché se rapportata con i nostri concorrenti mette in evidenzia che peggio dell’Italia fanno solamente Cipro e la Grecia. A otto anni dalla fase acuta della crisi finanziaria, come uscire dal buco nero è ancora un enigma.
Crediti che non valgono più nulla
Il governatore della Banca d’Italia ha, come da programma, tentato di non diffondere panico, ma è evidente che la situazione non si può considerare di facile soluzione. Ancor più in ragione dei continui richiami da parte della Bce, soprattutto i falchi tedeschi e olandesi, che mal digerisce la «soluzione» adottata per Monte Paschi Siena: che potrebbe essere addirittura bissata su Unicredit, qualora l’aumento di capitale prossimo non dovesse avere successo. Il governatore ha sottolineato che le risorse pubbliche pari a 20 miliardi stanziate dal Governo per ricapitalizzare e mettere in sicurezza le banche italiane sono "più che sufficienti", anche se un terzo sarà assorbito dal Monte dei Paschi. Si dovranno ridurre i costi e accelerare lo smaltimento dei crediti incagliati.
A quanto svendere i crediti deteriorati?
Quindi quanto già ripetuto in molteplici occasioni: rassicurazione e sprone ad andare avanti con le riforme, nonché a gestire con celerità i crediti deteriorati. Per Ignazio Visco riuscire a liberarsi di tale zavorra è la condizione per far ripartire il settore finanziario. I problemi, nonostante l’ottimismo rimangono, e sono due: a quanto svendere i crediti deteriorati? E poi: quelli che nessuno vuole, chi se li prende in carico? Delle due domande la seconda è quella che ha una risposta quasi certa: lo Stato, che li mette dentro una nuova «banca cattiva» e li trasforma in debito pubblico. Questa è una possibilità ancora vietata dalla normativa europea, e infatti il governatore se ne è lamentato assai, ma è chiaro che si sta lavorando per andare in quella direzione. E quando sarà possibile, l’intero ammontare degli Npl finirà sulle spalle della collettività senza troppo rifletterci. Anche perché in altri paesi europei l’istituzione di una banca pubblica con tale scopo è già stata fatta.
Alcuni numeri per comprendere la gravità del momento
La prima domanda necessita di alcune valutazioni. Il tasso di recupero degli Npl in Italia erano, nel 2006, quindi prima della crisi, pari al 48%. Fino al 2013 vi è stato un andamento altalenante, si pensi ad esempio che nel 2012 fu pari al 49%. Nel 2013 il tracollo: 34%, con una leggerissima ripresa lo scorso anno quando si è giunti al 35,4%. Questo perché negli ultimi due anni sono aumentate le posizioni chiuse attraverso la cessione in blocco sul mercato a investitori specializzati. Le banche hanno quindi scelto di recuperare pochi soldi, maledetti e subito. Infatti il tasso medio di recupero si è dimezzato passando dal 47% al 23%. Questo significa che gli operatori offrono prezzi stracciati. Il mercato valuta i crediti deteriorati un quarto del loro valore nominale: enormi buchi patrimoniali che qualcuno dovrà coprire. Chi? Gli azionisti e i possessori di ricchi conti correnti? Improbabile.
Operazione da fare, ma scandalosa
E’ difficile sostenere che il cuore dell’analisi di Ignazio Visco, l’impossibilità di istituire una "banca cattiva" pubblica, sia errato: ma è, nel contesto sociale attuale, inascoltabile e sconcertante ai più. E’ necessario un profondo lavoro educativo per far digerire alla collettività il bisogno di trasformare i debiti dei banchieri, fatti prettamente per ingordigia e ignoranza, in debito pubblico. Un settore, quello del credito, già detestato, con ragione di causa: quel mondo inesplorabile e onnipotente, che nega i mutui o reclama esosi costi per le operazioni più semplici. Quello che ha più guadagnato negli anni pre crisi e che ora non vuole pagare per i disastri che ha combinato. L’alternativa, come sempre in questi casi, è drammatica: il collasso del sistema bancario, con relativa scalata ostile da parte dei colossi esteri. In un sistema che è tutto tranne che liberista, questo significherebbe la fine economica del paese. Per rendere meglio il concetto: si tratta delle vecchia ed eterna regola che prevede la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite. Che i fardelli siano frutto delle «gestioni sciagurate del passato» non cambia la valutazione finale di un’operazione che probabilmente è indispensabile, ma sicuramente ingiusta.
- 19/12/2018 Banche, arriva l'accordo Ue sui crediti deteriorati. E l'Abi impone una «razionalizzazione» dei costi
- 25/09/2018 Grazie al Milleproroghe parte la procedura per il ristoro dei risparmiatori truffati dalle banche
- 23/06/2018 Così le banche in saldo risanate dallo Stato italiano diventano prede facili per gli stranieri
- 02/02/2018 Le banche italiane non vogliono diventare prede dei colossi stranieri: il caso di Intesa Sanpaolo