20 aprile 2024
Aggiornato 03:30
Crisi Alitalia

Perché la fine di Alitalia è lo specchio del paese

Lo Stato italiano ha sublimato, nel vano tentativo di salvare Alitalia dal fallimento, circa 8 miliardi di euro. Ma contro una serie di scelte sbagliate e i costi gonfiati della compagnia aerea non ha potuto nulla

Alitalia si avvia verso il commissariamento e la liquidazione.
Alitalia si avvia verso il commissariamento e la liquidazione. Foto: ANSA/TELENEWS ANSA

FIUMICINO – Alitalia è lo specchio del paese. L'ennesimo carrozzone in perdita da decenni, usato come un bancomat da politici, sindacati e manager senza scrupoli. Sprechi a non finire e scelte manageriali disastrose hanno prosciugato la mammella dello Stato italiano, che ha sublimato fra i 7,4 e gli 8 miliardi di euro di soldi pubblici nel vano tentativo di evitarne il fallimento. Ma i conti restano in rosso e il carburante per l'ultimo volo è ormai quasi finito.

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Uno spreco da 8 miliardi di euro
Secondo i calcoli di Mediobanca, Alitalia è costata al contribuente italiano dal 1974 in poi fra i 7,4 e gli 8 miliardi di euro. Una cifra monstre a fondo perduto. Perché le ricapitalizzazioni e le mance statali non hanno potuto nulla contro la sua maledizione. Niente a che fare con la stregoneria, però. Il fallimento di Alitalia è piuttosto il risultato di una serie di disastrose scelte manageriali e della condotta senza scrupoli di politici, sindacalisti e manager che hanno attinto alle sue riserve come fosse il pozzo di San Patrizio.

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Quando cominciano i guai di Alitalia
Il male di Alitalia viene da lontano. Dal boom economico degli anni Settanta, quando i dipendenti della compagnia aerea prendevano stipendi da capogiro e diarie mozzafiato. Gli organici erano gonfiati a dismisura (si contano 20mila dipendenti) e le assunzioni spesso si decidevano mediante raccomandazione. Sul finire del secolo, però, i nodi vengono al pettine e i conti di Alitalia prendono la strada dell'inesorabile declino. Se fino ad allora, infatti, i problemi contabili venivano ridimensionati grazie all'esistenza di un pratico monopolio di Stato - che permetteva alla compagnia di tenere alte le tariffe -, con l'evolversi della concorrenza sul mercato internazionale questo escamotage smette definitivamente di funzionare.

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Il tentativo con Air France e l'intervento di Berlusconi
Le tappe successive della storia di Alitalia si susseguono abbastanza rapidamente e la compagnia colleziona ben tre fallimenti in soli otto anni. La prima privatizzazione risale al 1996, sotto il governo Prodi, ma non migliora i conti disastrati e nel 2006 l'Esecutivo è costretto a vendere una parte delle quote che erano ancora in mano allo Stato per salvarla in extremis dalla bancarotta. La gara per acquistarle, però, andò deserta e il Governo tentò di vendere Alitalia ad Air France-KLM. Ma Silvio Berlusconi, all’epoca leader dell’opposizione, aveva dichiarato di essere contrario alla trattativa perché riteneva necessario «preservare l’italianità della compagna»: Air France-KLM comprese così che il nuovo governo le sarebbe stato ostile e optò per un lungimirante dietrofront.

I «capitani coraggiosi» e la bad bank
Di lì a poco (era l'8 maggio del 2008) Silvio Berlusconi vinse le elezioni e durante l’estate riuscì a mettere in piedi la cosiddetta CAI: Compagnia Aerea Italiana. Una società presieduta dai «capitani coraggiosi»: l’imprenditore Roberto Colaninno, il gruppo Benetton, il gruppo Riva, il gruppo Ligresti, quello dei Marcegaglia, della famiglia Caltagirone e altri nomi illustri del panorama politico e imprenditoriale italiano. Lo scopo della CAI era rilevare il marchio di Alitalia e la parte «sana» della compagnia (che effettivamente acquistò sborsando solo 300 milioni), mentre lo Stato si accollò il costo della bad bank (pari a circa 2 miliardi di euro). Tuttavia, neanche questo disperato tentativo riuscì.

Gli errori dei manager e la morale della cicala
Il piano strategico della nuova compagnia era infatti (stra)pieno di falle ed errori: tagliava selvaggiamente le rotte estere e in particolare quelle a lungo raggio, l'unico mercato sul quale la compagnia poteva eccellere davvero per l'assenza degli operatori low-cost. Per risollevare le sorti di Alitalia, invece, sarebbe stato necessario fare esattamente il contrario: sforbiciare le tratte a corto raggio, quelle meno competitive a causa degli alti costi della compagnia. Vale la pena sottolineare che Alitalia spende 6,5 centesimi a chilometro per passeggero contro i 3,5 di Ryanair. Una battaglia evidentemente persa in partenza. E infatti nel 2013 la nostra compagnia di bandiera si ritrova ancora una volta sull'orlo del fallimento. Si fa avanti Etihad, che sembra l'unica possibilità di salvezza. Ma sappiamo come è andata a finire. Alitalia è un gigantesco carrozzone che ha fatto la cicala per troppo tempo, attingendo risorse dalla mammella dello Stato italiano. Alla fine è arrivato l'inverno. E non è rimasto più nulla da spolpare.