27 aprile 2024
Aggiornato 03:00
La finta democrazia delle primavere arabe

5 anni dalla morte di Gheddafi, in Libia regna il terrorismo (e il caos totale)

Da quel momento nel Paese si sarebbe dovuta aprire una transizione verso qualcosa che viene definito «democrazia». Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti. Più nascoste invece sono le ragioni che portano a questo stato di cose

TRIPOLI - Spostare lo sguardo dalla luce brillante della fascinazione religiosa, alla dura materia priva di spiritualità, fatta di sangue, soldi e potere. Oggi come sempre, la religione è il motore distorcente atto a creare l’inerzia dell’odio nelle masse. Il caos medio-orientale potrebbe far tornare in mente la «Guerra dei contadini», una rivolta popolare nell'Europa rinascimentale, più precisamente nel Sacro Romano Impero, che si svolse tra il 1524 e il 1526. La guerra consistette in un insieme di rivolte economiche e religiose da parte di contadini, abitanti delle città, e nobili. Il movimento non possedeva un programma comune. Coinvolse circa 300mila uomini e causò 100mila morti. Ebbe ragioni teologiche – l’ascesa dei protestanti a scapito dei cattolici – ma soprattutto economiche, data la sperequazione sociale dilagante. Altri tracciano un parallelo tra il caos medio-orientale odierno e la strage di san Bartolomeo quando i cattolici uccisero a Parigi, e non solo, migliaia di protestanti, per la maggior parte Ugonotti: era il 1572.

Parallelismi tra il caos medio-orientale e l'Europa del '500: la strumentalizzazione della spiritualità
Sono molti gli storici, e gli analisti, che tentano di tracciare dei paralleli storici tra il caos medio-orientale e l’Europa del 1500. Situazioni molto diverse dove il punto in comune è uno solo: la strumentalizzazione della spiritualità in chiave economica. La differenza tra oggi e quel tempo è lampante: i moti della plebe erano sì forzati ma affondavano in un sostrato reale. Oggi, a dieci anni dall’inizio delle cosiddette primavere arabe, o i suoi moti prodromici, è evidente l'artificiosità del processo, la creazione in laboratorio del caos dal nulla. Il mito romantico del popolo arabo-musulmano che insorge grazie ai social network, in virtù di una passione democratica, è solo una parte molto piccola che diviene narrazione dominante grazie ad una potente retorica. Indubbiamente la rivalità che serpeggia tra sunniti, sciiti, alawiti, wahabiti esiste, ma è stata ben fomentata fin dal 2001.

Cosa sappiamo della fine della Gheddafi
Come noto i giornalisti occidentali presenti in loco sono assenti da anni e la creazione della «verità» passa attraverso le ambasciate occidentali. Sappiamo che ci furono moti di piazza, sappiamo che ci fu una repressione violenta, sappiamo che sono scoppiate guerre civili intra-religiose. Sappiamo che una volta ucciso il corpo di Gheddafi è stato profanato, e la furia iconoclasta ha pervaso la Libia. Caricatori e caricatori sono stati sparati contro le immagini del Raiss dipinte sui muri degli edifici, da Tripoli a Misurata. Meno note le ragioni politiche che portarono l’occidente ad un impegno bellico diretto. L’Isis, si risponde: ma l’Isis è nato e si è sviluppato dopo l’esplodere delle rivoluzioni primaverili, ne è una diretta conseguenza. Cinque anni fa veniva assassinato, o giustiziato per chi in quella morte vede un principio di giustizia, il colonnello Gheddafi. Personaggio scomodo, di cui conosciamo molti aspetti pittoreschi mentre si tace il laicismo di cui fu portatore. Laicismo ottenuto con metodi talvolta violenti, ma che, come nel caso di Iraq e Siria, ha trasformato le tensioni religiose nel baathismo, ideologia pan araba di stampo sociale. Una visione del mondo arabo, quella di Gheddafi, centrata sulla figura del califfo, e del non allineamento ad est e ovest. Cose vecchie, superate. Gheddafi viene ucciso dopo un rocambolesco inseguimento, e da quel momento in Libia dovrebbe aprirsi una transizione verso qualcosa che viene definito «democrazia».

La morte di un raiss, la nascita di una guerra civile
Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti. Più nascoste invece sono le ragioni che portano a questo stato di cose, che vede addirittura schierati su fronti opposti Stati Uniti e Francia. In mezzo, miseri tapini come sempre, noi italiani, che abbiamo tre connazionali rapiti, e dispersi, e vasti interessi economici minacciati: due terzi delle concessioni petrolifere della Libia, nel 2011, erano ad appannaggio dell’Eni. Si può affermare senza tema di smentita che, a cinque anni dalla morte del colonnello Gheddafi, l’Italia abbia solamente perso. L’Eni esce fortemente danneggiata, in particolare dall’avanzata del generale Haftar, spalleggiato dai francesi, versi campi petroliferi del nord, in particolare nel sito Zuetina, da sempre sfruttato dall’Eni. Dalle coste libiche, per lungo tempo fuori controllo, sono partiti centinaia di migliaia di profughi che sono sbarcati in Italia, e che l’Europa non vuole.

Cos'è, oggi, la Libia
Il Paese al momento è diviso in tre parti: ad ovest il governo di al-Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto militarmente da Stati Uniti e Gran Bretagna, tenta di costruire un’impalcatura istituzionale su cui reggersi. Ad opporsi, da est a sud est, c’è il generale Haftar, avventuriero sostenuto dalla Francia che vorrebbe avere più influenza nel vasto settore petrolifero. A sud sono presenti le milizie islamiste, tribù varie, signori della guerra: terra di nessuno. Ci sono due parlamenti che si definiscono «legittimi», rispettivamente a Tobruk e a Tripoli. Tutti questi soggetti sono accomunati da un singolare requisito: si reputano gli unici rivoluzionari, veri.

Le potenze aspettavano di governare dopo il caos, ma così non è stato
Inutile però andare alla ricerca della dietrologia: indubbiamente le potenze occidentali hanno infiltrato il paese con gruppi fanatici e armati al fine di far cadere Gheddafi e il suo regime. Forse l’idea originaria era di poter governare un trapasso dopo un prevedibile tempo, limitato, di caos. Ma così non è andata e le profezie di Gheddafi si sono avverate. «Le premonizioni di Gheddafi sembrano essere state confermate. Dopo la sua caduta, la Libia è piombata nel caos ed è ancora travolta dalla guerra civile. Molti territori sono controllati da gruppi armati di fondamentalisti islamici legati ai terroristi del Daesh. I terroristi, inviati dal Daesh in Francia, a novembre hanno perpetrato una serie di sanguinosi attacchi terroristici a Parigi». Questo si poteva leggere sul quotidiano britannico Telegraph solo pochi mesi dopo la morte di Gheddafi. Il presidente della commissione Esteri Crispin Blunt ha recentemente dichiarato: «I politici occidentali sono stati meno lungimiranti di Gheddafi riguardo ai rischi connessi con l'intervento militare sia per il popolo libico e sia per gli interessi dello stesso Occidente». «Voglio dirle la verità. Questa situazione non è così complicata, è al contrario semplice: in Nord Africa si sono svegliate le cellule dormienti di Al Qaeda. Ma non viene mostrato il quadro reale della situazione, non ci sono giornalisti stranieri. Abbiamo chiesto a tutti i giornalisti di tutto il mondo di venire a vedere la verità. Si tratta di bande armate. E' impossibile negoziare con loro».

La confusione di Obama
Una volta scoppiato il caos, sono giunte le scuse. Il presidente statunitense Obama al termine del 2015 ha dovuto ammettere che:«gli Stati Uniti hanno un po' di responsabilità per non essersi mossi abbastanza rapidamente e per aver sottovalutato la necessità di ricostruire in fretta il governo in Libia. Di conseguenza, adesso c'è una situazione molto brutta». Il presidente sorvola sul fatto che costruire un governo dove gli islamisti fanatici sono leva per interessi economici esteri è semplicemente impossibile. Sempre Obama cade in confusione: nel marzo 2016 in un'intervista a The Atlantic, afferma: «Il mio errore peggiore? Probabilmente sbagliare nel pianificare il giorno dopo quella che credevo fosse la cosa giusta da fare intervenendo in Libia». Una settimana dopo, parlando con Fox News, aggiunge: «Era la cosa più giusta da fare». La religione, in tutto questo? Scomparsa.