29 marzo 2024
Aggiornato 07:00
la proposta di via nazionale

Def, Bankitalia: «Necessario ridurre il debito. Permangono rischi elevati in caso di shock esterni»

Secondo Via Nazionale l'Italia è esposta al rischio di shock avversi. Le previsioni del governo contenute nel Def 2016 sono palusibili, ma sono necessari interventi rigorosi sulle entrate e sulle spese oltre a un taglio permanente del cuneo fiscale per favorire l'occupazione

ROMA - Secondo la Banca d'Italia, se si vuole mantenere e consolidare la fiducia dei mercati «è importante conseguire nel corso del tempo una riduzione del debito chiara, visibile e progressiva». Così Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale della Banca d'Italia in audizione sul Def davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.

L'Italia è esposta al rischio di shock avversi
Per Bankitalia è «positivo e importante» che il governo nel Def 2016 abbia definito come «obiettivo strategico» l'inversione della dinamica del debito rispetto al Pil. E questo «nonostante il peggioramento delle proiezioni di crescita», ma i margini di manovra non sono ampi. Per garantire il raggiungimento dell'obiettivo sarà infatti necessario mantenere durante l'anno uno «stretto monitoraggio dei conti pubblici», seguendo l'evoluzione del quadro macroeconomico. Le previsioni contenute nel Def non sono implausibili, sulla base dell'attuale situazione congiunturale, ma «resta il rischio di evoluzioni meno favorevoli».

Le previsioni del Def 2016
Un paese con un alto debito pubblico - è il caso dell'Italia - è particolarmente esposto a rischi elevati in caso di shock avversi dell'economia. Come abbiamo spiegato precedentemente, il governo ha già ridotto la stima del tasso di crescita del Pil per il 2016 a +1,2% da +1,6% e a +1,4 da +1,6% per il 2017. Ha inoltre rimandato al 2019 il raggiungimento del pareggio di bilancio. Il Def 2016 prevede una graduale discesa del rapporto debito/Pil, ma questa è diventata così piccola (0,1% nel 2017 e 0,3% nel 2018) da essere fortemente esposta a qualsiasi variabile negativa che dovesse alterare anche solo lievemente i dati della crescita del Pil o quelli dell'inflazione rispetto alle aspettative del governo.

Necessari interventi rigorosi sulle entrate e sulle spese
E il recente indebolimento delle dinamiche legate all'andamento dell'economia nazionale, in particolare quelle che riguardano l'occupazione e la produttività, non fanno presagire nulla di buono. Ecco perché, secondo la Banca d'Italia, «non vi è alternativa a interventi rigorosi ed efficaci sulle entrate e sulle spese». Per quanto riguarda la disattivazione delle clausole di salvaguardia, ha detto Signorini, «questa è condivisibile, dato l'effetto recessivo che esse potrebbero avere in una fase di ripresa debole» anche se, ha puntualizzato, «le clausole se ripetutamente disattese possono accrescere l'incertezza».

Una pressione fiscale sopra la media dell'UE
La strada dunque è già tracciata ed è quella già intrapresa anche negli anni precedenti. Nonostante il calo e i provvedimenti adottati dal governo Renzi, infatti, la pressione fiscale è rimasta più alta della media registrata nel decennio precedente la crisi. E' diminuita dal 43,2% del 2014 al 42,9% nel 2015, "ma è tuttavia rimasta superiore, per circa 2,5 punti percentuali, alla media registrata nel decennio precedente la crisi dei debiti sovrani», ha sottolineato Signorini. E la politica del rigore proseguirà anche nei prossimi anni.

Taglio permanente del cuneo fiscale
Bankitalia ha inoltre chiesto di valutare con attenzione «l'opportunità di prevedere riduzioni permanenti del cuneo fiscale, a beneficio della crescita dell'occupazione». La nuova disciplina in materia ha dato un contributo significativo all'espansione dell'occupazione, innestandosi sulla spinta attribuibile alla ripresa ciclica e al minore costo del lavoro derivante dagli sgravi contributivi. «Secondo le nostre stime - ha concluso Signorini - la revisione della disciplina dei rapporti di lavoro ha contribuito, al pari della decontribuzione in vigore dal gennaio del 2015, a raddoppiare la probabilità che un contratto a tempo determinato venga convertito in uno a tempo indeterminato».