La «mission impossible» delle banche italiane: smaltire 70 miliardi di euro di sofferenze
Nel ventre delle banche italiane ci sono 70 miliardi di euro di sofferenze da smaltire nel più breve tempo possibile. Ma le perdite per Monte Paschi Siena e le altre possono essere considerevoli

ROMA - Nel ventre molle delle banche dell'Eurozona ci sono oltre mille miliardi di crediti deteriorati. Una zavorra pesantissima per la crescita economica comunitaria. E l'Italia, con i suoi 276 miliardi di euro di sofferenze, detiene la quota più consistente di tutta l'Unione europea. Lo Stivale rischia di sprofondare sotto il peso dei suoi «non performing loans». Per evitarlo, le banche italiane devono smaltire a stretto giro 70 miliardi di crediti incagliati, che corrispondono circa al 20% dei crediti deteriorati lordi. Ma a che prezzo?
70 miliardi di euro di sofferenze da smaltire
L'Italia detiene il poco invidiabile primato del maggiore stock europeo di sofferenze bancarie nette. 86,9 miliardi al 31 dicembre 2016, secondo l'Abi. Una gigantesca e pesante zavorra che affossa la ripresa economica nazionale e rende sempre più vulnerabile il sistema bancario italiano agli shock interni ed esterni. Per questo, nelle ultime settimane, Bankitalia, l'EBA, l'OCSE e le Big Three (le agenzie di rating Moody's, Fitch e Standard&Poor's) hanno puntato i loro potenti riflettori sul nodo irrisolto delle sofferenze bancarie italiane, sollecitando gli istituti di credito del Belpaese ad accelerare il processo di smaltimento dei loro «non performing loans». Nei prossimi mesi, secondo i calcoli del Sole 24 Ore, riguarderà circa 70 miliardi di crediti deteriorati.
A ogni banca il suo stock di crediti incagliati
Protagonisti indiscussi di questa maxi operazione sono alcune delle banche più importanti dello Stivale: Monte Paschi Siena, Unicredit, Intesa Sanpaolo, la banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, Creval, Carige, BPM. Cominciamo dallo stock più imponente, quello della banca più antica del mondo. Monte Paschi Siena dovrà smaltire nel più breve tempo possibile circa 28 miliardi di euro di sofferenze. Per accelerare l'operazione, l'amministratore delegato Marco Morelli avrebbe in mente di cederli in blocco, magari in più tranche, mentre originariamente era prevista una maxi-cartolarizzazione sotto la regia del Fondo Atlante. L'accelerazione perseguita da Morelli guarda ai grandi fondi internazionali (come Cerberus, Fortress, Pimco, Apollo e Lonestar) che possono acquistare in blocco il pacchetto di crediti incagliati.
I numeri di Monte Paschi Siena e Unicredit
Unicredit, l'unica banca sistemica d'Italia, invece deve liberarsi «solamente» di 17 miliardi di Npl, peraltro già spacchettati in diversi veicoli creati ad hoc e i cui titoli saranno probabilmente destinati in maggioranza a Pimco e Fortress, partner dell’operazione. Nel frattempo, però, l'istituto guidato da Jean Pierre Mustier è alle prese con l'aumento di capitale più grande mai realizzato nella storia dello Stivale (13 miliardi di euro) per rafforzare i suoi requisiti patrimoniali e far fronte alle pressanti richieste dell'Unione europea. Mentre prosegue in questi giorni la vendita delle azioni dell'istituto, Unicredit ha diffuso una nota nella quale ha annunciato che lo stock di sofferenze nella sua pancia verrà ceduto al 12,9% del suo valore facciale. In pratica un prezzo stracciato.
Le perdite possono essere considerevoli
E questo vuol dire che le perdite per la banca di Piazza Gae Aulenti saranno considerevoli. Veniamo ora alle due banche venete che stanno per convolare a nozze. Non prima, però, di essere riuscite a smaltire quei 10 miliardi di crediti malati per alleggerire i loro bilanci in vista di una tanto difficile e rischiosa fusione. E poi ci sono REV (con altri 10 miliardi di sofferenze da dismettere), Creval (con 1.500 miliardi), Carige (con un altro miliardo) e Banco Popolare di Milano (con circa 600milioni). Nel complesso, siamo arrivati a quei famosi 70 miliardi di euro di sofferenze conteggiati dal Sole 24 Ore. Ma chi acquisterà questi crediti incagliati? E a che prezzo? In alcuni casi si tratterà di fondi internazionali, in altri forse sarà necessario ricorrere ad una nuova «bad bank» nazionale. Dal presidente dell'Eba, Andrea Enria, è anche recentemente giunta la proposta di una «bad bank» europea. Il rischio è che, in ogni caso, le perdite per le banche italiane possano essere considerevoli. Ma la strada imboccata è a senza unico. E non si può più tornare indietro.
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