19 marzo 2024
Aggiornato 08:00
Deutschland uber alles

Merkel, il volto «pacioso» dell'impero tedesco ci riprova. E noi zitti ubbidiamo

La cancelliera si ricandida per la quarta volta: vuole salvare la sua democrazia, e consolidare la supremazia della Germania sui popoli europei

La cancelliera tedesca Angela Merkel
La cancelliera tedesca Angela Merkel Foto: Shutterstock

BERLINO - Il capo dell'Unione europea è una donna semplice dal sorriso "dolce" come quello di una nonna contadina. Una donna lontana dalla deriva egocentrica che connatura buona parte dei capi di stato europei, perché la sua estetica è immutabile, così come il suo discorrere: sorridente e ferreo. Al termine del 2020 Angela Merkel raggiungerà il quindicesimo anno di governo della Germania, eguagliando così il primato di Helmut Kohl. I tedeschi stimano la cancelliera, e sono pronti a rinnovarle la fiducia: lei lo ha capito, e ha annunciato, senza sorpresa, che concorrerà alle prossime elezioni politiche tedesche «per mantenere unita la Germania e bloccare l’avanzata dell’odio e del populismo».

Il nuovo impero tedesco
Le tragiche condizioni in cui versa il nostro paese, e non solo, sono diretta emanazione di politiche economiche pianificate nelle stanze del Reichstag, e messe in pratica dagli impiegati di Bruxelles. La nostra sudditanza psicologica verso Berlino, al di là delle diatribe pre elettorali di Matteo Renzi, è sempre più evidente: le parole che provengono dalla cancelleria, o dalla Bundesbank, sono ascoltate con reverenziale timore e successivo doveroso plauso. Le colpe dell’Italia, e di altri paesi, sono evidenti: ma un singolare senso di colpa impedisce ogni alternativa alla visione dogmatica tedesca. La Germania, un paese che solo pochi anni fa ha messo a ferro e fuoco il mondo, rivendica con inusuale baldanza la superiorità morale del suo agire, ormai divenuto unica «categoria dello spirito» post moderna, in nome di una supremazia che, in anni passati, veniva incardinata sul patrimonio genetico.

La sua forza: ha imposto l’egemonia culturale tedesca a cinquecento milioni di cittadini europei
Senza dubbio i tedeschi hanno ottime ragioni per apprezzare la cancelliera nata nella ex Ddr. Più che i risultati economici ottenuti, per molti versi contrastanti, Angela Merkel può far valere una vittoria senza precedenti: ha imposto l’egemonia culturale tedesca a cinquecento milioni di cittadini europei. Questo significa che al termine del suo terzo mandato un italiano, un greco, uno spagnolo e tanti altri hanno accettato, nella stragrande maggioranza, che l’etica tedesca sia il modello da seguire. Resistono sacche di dissenso, per altro bollate come «populismo», che la Angela Merkel ha già saputo annientare e umiliare, come nel caso della Grecia di Tsipras. Populismi – il populismo è un potpourri che comprende tutto ciò che si oppone all’ideologia tedesca - che si nutrono, come ha sottolineato Romano Prodi, di austerità, ovvero del principale dogma dell’Unione europea Angela Merkel,

Salvare la democrazia
Come già ricordato, la cancelliera ha sobriamente annunciato che la sua candidatura vuole salvare la democrazia: dimenticando però di aggiungere al sostantivo «democrazia» l’aggettivo «tedesca». La Germania quindi, con a capo un paciosa signora laureata in Chimica nella fu Ddr, ha conquistato l’Europa, antico sogno, per altro già avveratosi durante le celebri invasioni barbariche che scossero l’Europa dal 166 al 476 dc. Questo è il vero risultato di Angela Merkel, infinitamente più importante che ogni statistica economica. Una conquista, quella dei giorni nostri, progettata e attuata con sistematicità tipicamente teutonica. Può non piacere il concetto, che potrebbe essere sfumato: ma è evidente come le regole tedesche, lo stile di vita tedesco, l’interesse del popolo tedesco, concorrono a formare l’attuale forma mentis europea. Chi non vuole definirla «conquista» trovi un altro termine che renda questa fattualità.

Noi, poveri sottomessi al volere tedesco
La spinta definitiva che ha portato a questo risultato l’ha data proprio Angela Merkel: il suo viso bonario da contadina cresciuta tra vacche e prati verdi ha addolcito la ferrea volontà di conquista che connatura la cultura tedesca. La proverbiale sciatteria, nonché l’indomabile pigrizia, dei popoli latini ha fatto il resto. Non si parla ovviamente di armate e fili di ferro, ma di regole teorizzate prima, e applicate ferramente poi, volte ad avvantaggiare un popolo solo. Gli Italiani, ma siamo in buona compagnia, non hanno compreso cosa stava accadendo grazie all’euro, alle regole di bilancio, ed in generale alla struttura istituzionale che caratterizza l’Unione europea. Abbiamo accolto con entusiasmo, anche questa non è una novità storica per altro, coloro che ci stavano conquistando. Le parole di Romano Prodi che denunciano il rinnovato imperialismo tedesco, suonano vagamente inascoltabili: chi se non lui aveva il potere di mitigare l’avanzata di Angela Merkel e della sua ideologia?

Il primo passo: la moneta unica e il debito
Helmut Kohl, Gerhard Schroeder e infine Angela Merkel sono i portatori di una ideologia centrata sul primato della moneta unica e dell’austerità. Moneta unica che significa la fine della svalutazione competitiva da parte di tutti i concorrenti economici diretti della Germania, in primis l’Italia. Concorrenti oberati da debiti che hanno peggiorato la loro portata in virtù delle crisi economiche acuite proprio dall'euro. Si pensi che la lira, tra il 1962 e il 1999, ha avuto una svalutazione pari al 600%. Oggi questo processo non è più possibile, dato che la moneta è comune: non è difficile capire chi abbia guadagnato e chi perso. Non è difficile capire quindi perché la Germania ha rafforzato la sua industria manifatturiera mentre l’Italia la sta vendendo allo stato cinese. Il tutto mentre i debiti pubblici, generati soprattutto dalle crisi economiche e dalla deflazione, esplodevano. Incredibilmente di tutto questo nessuno si accorse quando si scrivevano le regole che certificano tutto ciò. E infatti, noi come i greci, dopo quindici anni di moneta unica ci troviamo a vendere tutto e a svalutare il lavoro.