26 aprile 2024
Aggiornato 00:00
L'ultimo appuntamento con l'illustre analista politico e strategico

Politi al Diariodelweb.it: la vera emergenza? Scongiurare la terza guerra mondiale

Non tanto terrorismo e immigrazione. Per Alessandro Politi, sono altre le crisi internazionali che si preparano a scombussolare gli assetti mondiali. Dalla crisi della democrazia, alla finanziarizzazione dell'economia, fino alle tensioni tra Usa e Cina. Che spalancano uno scenario da terza guerra mondiale

ROMA - Nelle «puntate» precedenti ci ha parlato di terrorismo, Isis, immigrazione, missione in Libia. Quest'oggi, in occasione dell'ultimo appuntamento in esclusiva per il DiariodelWeb, l'illustre analista politico e strategico Alessandro Politi spiega ai nostri lettori quali sono le crisi internazionali che più dovremmo temere. Perché forse, ormai assuefatti al vocabolario «emergenziale» usato dai media in merito a fenomeni quali l'immigrazione e il terrorismo, corriamo il rischio di non accorgerci delle emergenze che, seppur più silenziosamente, si preparano a scombussolare gli equilibri mondiali in modo più sostanziale.

«Emergenza» è una delle parole preferite dai media, specialmente quando si parla di terrorismo e immigrazione. Politi, siamo davvero di fronte a emergenze senza precedenti?
Il mondo sta vivendo una crisi globale senza precedenti, siamo alla fine di un’era. Non ce n’è uno che se la passi bene, c’è solo chi – per ora –  se la passa un po’ meglio. Parte di questa crisi globale è anche dovuta alla bomba demografica che si è accumulata nei Paesi più poveri, alla fine del pieno impiego nei Paesi ricchi e alla disgregazione degli Stati nazionali. C’è un arco di crisi che va dalla Mauritania fino all’Ucraina, ci sono Stati che si sono sfaldati o che sono falliti o che corrono questo rischio. A Nord, gli Stati vengono svuotati dagli interessi finanziari. Questa è la vera emergenza che sta sotto i nostri occhi ma che nessuno sembra cogliere. È' certamente senza precedenti sapere che nel prossimo futuro un terzo dell’Italia non sarà più fatta da gente nata in Italia. Ma non possiamo per questo svuotare il mare con un cucchiaino.

E il terrorismo? È un’emergenza?
Il terrorismo è un problema molto localizzato nel mondo, serio in cinque Stati soprattutto: l’Afghanistan, il Pakistan, la Siria, l’Iraq e la Nigeria, insieme ad altre aree come la Colombia e l’India. Solo dopo il 2001 si è scoperto che la metà degli attentati venivano compiuti in India. Solo quando i palestinesi si sono fatti esplodere in Israele si è scoperto che c’erano attentati suicidi con esplosivi che andavano avanti da anni nello Sri-Lanka. In realtà una serie di attacchi terroristici sono tutt’ora in corso e in larga parte, in Europa e negli Usa, sono a sfondo politico e non religioso. Il terrorismo è un rischio, e qualche volta di grandissime dimensioni. Ma l’11 settembre non è giunto senza preavvisi: non a caso Clinton si stava preparando a fare uccidere Bin Laden dopo aver perso 17 marinai nel golfo di Aden. Poi, che il terrorismo sia un sintomo di un malessere più grande che riguarda governi, mancanza di libertà e prospettive, cattiva gestione di questioni nazionali irrisolte, questo è vero. Il resto è un pulviscolo che ha naturalmente rilevanza politica. Però, mentre parliamo di terrorismo, i mafiosi ci portano via l’1% del Pil e ammazzano quasi 100 persone, nel silenzio più generale. Dov’è, allora, l’emergenza?

Sempre a proposito di emergenze, quali sono le crisi internazionali che dovrebbero più preoccuparci, come Europa e come Occidente?
La crisi più preoccupante è quella che si consuma all’interno dell’Occidente. L’Occidente ha un problema evidente di crisi della democrazia, talmente matura da risultare vecchia. In un convegno fatto recentemente al Ministero degli Esteri come Nato Defense College Foundation, sull’Europa dell’Est, il segretario generale di una banca di investimenti ha detto chiaramente che è avvertibile un arretramento della democrazia. Di pari passo, c’è la crisi della finanziarizzazione dell’economia. La crisi del 2006 ha inferto un colpo estremamente serio all’area dollaro e all’area euro. Le nazioni più finanziarizzate al mondo sono Stati Uniti e Regno Unito. Con Clinton si è detto: «libero mercato = democrazia», ma oggi il mercato è dominato da oligopoli: dov’è la democrazia? Altra crisi a cui fare attenzione è il collasso dei vecchi Stati nazionali. Gli Stati nazionali non sono eterni. Per quelli più fragili, è facile rendersi conto di quando finiscono. Noi ci consoliamo illudendoci di vivere in situazioni del tutto diverse, ma questo è un ritornello pericoloso. Ulteriore crisi, estremamente seria e non visibile se non per aspetti spettacolari ma non sostanziali, è quella delle relazioni tra Cina e Stati Uniti. E’ la crisi tra un creditore e un debitore, un debitore molto armato.

Una crisi, quest’ultima, che potrebbe portare addirittura a una nuova grande guerra?
Le guerre mondiali non scoppiano perché un irredentista spara a un arciduca, ma perché ci sono grosse disparità di interessi, che alla fine diventano, o vengono percepite, vitali. Gli Stati Uniti entrarono nella Prima Guerra Mondiale perché se i sottomarini tedeschi avessero continuato a svilupparsi con quel ritmo ci sarebbe stata un po’ di gente costretta a smettere di produrre per la Francia e l’Inghilterra, che si stavano indebitando. Non esistono scontri di civiltà – una delle più spettacolari sciocchezze degli ultimi tempi –. Le guerre mondiali scoppiano perché ci sono faglie dentro la civiltà, molto concrete. Se non stiamo attenti rischiamo di andare verso una guerra mondiale vera. Speriamo che, se ne parliamo per tempo, possiamo riuscire a prevenirla. Forse.