L'ambasciatore russo? Ucciso per bloccare l'ingresso della Russia nelle ex basi Nato in Turchia
Mentre i media occidentali parlano di terrorismo, Russia e Usa si contendono la base di Incirlik, già sede di novanta testate atomiche. Il console russo ucciso per bloccare il patto Putin-Erdogan
ANKARA - Suole lise, consumate: scarpe vecchie che potrebbero essere di un impiegato dell’impero zarista come Akakij Akakievic, l’umile ometto protagonista de «Il Cappotto» di Gogol. Quelle che l’implacabile pervasività della fotografia inquadra, punto focale della vita spenta di un uomo riverso a terra e inchiodato come ad una croce di Sant’Andrea, sono invece le suole dell’ambasciatore russo a Mosca, Andrey Karlov. Un uomo potente, ucciso prima dai colpi di pistola di un giovane poliziotto con la faccia da ragazzino, e poi dalla regia cinematografica che pare studiata per impiantare la finzione cinematografica dentro la realtà. Una iper realtà il cui messaggio è molto semplice: siamo ovunque e possiamo raggiungervi ovunque. Un messaggio per Erdogan, che da qualche giorno probabilmente è ancor più conscio di essere sì un califfo, ma dai piedi d’argilla.
Guerra civile in Turchia a un passo
Karlov era un simbolo perfetto: grigio, corpulento, arcigno. Il prototipo del burocrate prima zarista, poi sovietico, oggi putiniano. Ma l’obiettivo non è ovviamente il vecchio diplomatico, bensì l’asse militare turco-russo che sta mettendo in crisi la politica statunitense in Medio Oriente, ormai priva di una visione strategica. Un asse che si compone intorno ad una base militare strategica, che la Nato non vuole cedere alla Russia. Perché si tratterebbe di avere il nemico non alle porte, ma in casa. Meglio tentare di scaraventare uno paese attraversato da radicalismi religiosi dentro la guerra civile, devono aver pensato negli uffici del Pentagono che ancora non riconoscono il cambio di amministrazione avvenuto con l'elezione di Donald Trump.
"Terrorismo islamico"?
L’attentato, immediatamente inquadrato dentro la cornice del «terrorismo islamico», non necessita di fantasia per essere compreso: la Turchia è un paese membro della Nato che sta combattendo una guerra contraria agli interessi strategici dell’alleanza atlantica in primis, e di Israele poi. Il campo di battaglia è la Siria, Aleppo in particolare, ma potrebbe essere qualsiasi altro. Fin dal principio è giunta un’interpretazione molto prevedibile: «terrorismo islamico». Ma ormai appare fin troppo chiaro che il jihadismo, almeno quello attuale, altro non è che la leva che viene azionata dalle parti di Washington per allargare la crepa tra Putin ed Erdogan. Masse sterminate di sottoproletari fanatici possono essere azionati come automi in qualsiasi momento: il giovane poliziotto che ha ucciso il diplomatico russo non lo era, e questo rende ancora più torbida la vicenda.
La Turchia non è un vero alleato dell'Occidente
Una strategia prevedibile quindi, ma controproducente, perché rinsalda l’alleanza tra i due paesi che stanno sbaragliando le forze dell’Isis che operano nelle ultime sacche di Aleppo. E a Berlino. Solo che nella città siriana vengono definiti «ribelli» mentre quando fanno strage in Europa tornano, giustamente, ad essere definiti per cosa sono: terroristi. Da sempre si pensa che la Turchia possa rappresentare un ferreo alleato dell’Occidente: ma così non è. La cultura mercantile che pervade il paese, in senso positivo e negativo, ha sempre reso la Turchia una nazione ondivaga. Il paese di Erdogan ha combattuto fedelmente la sua guerra sporca al fianco dell’Isis, come le era stato richiesto dagli alleati della Nato: forniva armi, denaro, faceva passare legioni di volontari attraverso i suoi confini. Cinque anni di lealtà da parte di un paese membro della Nato, giunto ad abbattere volutamente un aereo russo durante un’operazione di guerra.
Erdogan ha venduto la sua alleanza con gli Usa a Putin
Ma di fronte alla rappresaglia della Russia, Erdogan è stato lasciato solo, come un servo da cui ci si aspetta solo riconoscenza. Grave sottovalutazione del senso dell’onore turco, che ha visto nella ritirata strategica Nato – che non poteva permettersi un scontro diretto con il Cremlino, apparso minaccioso come mai prima – un tradimento. Le alleanze ad assetto variabile della regione, il tratto mercantile dell’Islam, che condiziona il modus operandi politico di tutti i paesi dell’aerea, hanno fatto il resto. Erdogan ha chiuso velocemente lo scontro con la Russia ed ha venduto la sua alleanza con gli Usa a Putin, con cui ha concluso una transazione: nessuna caduta di Assad, le basi russe possono rimanere ben salde in Siria, e dopo il tentato golpe di luglio sul piatto è giunta l’offerta di una base militare in territorio turco per i caccia di Mosca. In cambio, Erdogan ha chiesto di stroncare ogni speranza dei curdi per uno stato indipendente. Nonostante la «vicinanza» tra i curdi, o almeno una parte di essi, e la Russia, l’accordo è stato chiuso.
La base di Incirlik
Al centro della disputa rimane la ex base Nato di Incirlik, poco distante dal confine siriano. La Russia potrebbe ricambiare l'aggressività della Nato nei paesi dell'ex blocco sovietico, posizionando i suoi uomini dentro un paese della Nato. Dopo il tentato colpo di stato di luglio i servizi segreti turchi compresero che a manovrare i militari vi era un apparato avente ramificazioni negli Stati Uniti. La figura di Gullen, una specie di santone mercante che vive in Pennsylvania, fu ritenuta artefice della macchinazione che voleva scaraventare la Turchia dentro la guerra civile, più che destituire Erdogan. La base di Incirlik, da cui si alzarono gli F16 che avevano il compito di dare copertura aerea al colpo di stato, fu circondata dall’esercito fedele ad Erdogan con settemila uomini autori di una «ispezione». La base era sede di novanta missili armati di testate nucleari, ovviamente della Nato, che, dopo un mese dal colpo di stato, sono stati delocalizzati in Romania.
Una decisione storica
Una decisione di portata storica, perché la base di Incirlik è sempre stata un avamposto strategico degli Usa in chiave anti-Urss prima e ora anti-Russia. Non solo: pochi giorni prima del tentato golpe i giornali russi scrissero che la base militare sarebbe stata offerta direttamente alla Russia. Che avrebbe glissato per ragioni facilmente comprensibili. Ad agosto le testate atomiche sono state trasferite in Romania. E negli ultimi tempi «la presa» russa sulla ex base Nato è stata data come ormai prossima. Un acuirsi della tensione che giunge fino ai recenti giorni di sangue: tentativo estremo dell’amministrazione statunitense uscente di minare i ponti tra Usa, Russia, Turchia e Iran. Prima che Putin possa piazzare i suoi jet ad un passo dal cuore della Nato.
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