26 aprile 2024
Aggiornato 05:30
Altro che «collaborazione» tra Mosca e Washington...

Con la Siria, siamo ufficialmente entrati in una nuova Guerra fredda

Il fatto che la Russia abbia accettato di coordinarsi con gli Usa in Siria su questioni tecniche non deve fuorviarci. Perché proprio sul fronte siriano l'atmosfera che si respira è da Guerra fredda. E l'escalation sembra sul punto di peggiorare

DAMASCO – Fino a tre giorni fa, il portavoce del Dipartimento della difesa Usa Michelle Baldanza spergiurava che non ci sarebbe stata alcuna collaborazione con Mosca, fin tanto che la sua azione militare sarebbe stata finalizzata al sostegno del regime di Assad. Un paio di giorni dopo, dal Cremlino è arrivato l’ok ad accettare la proposta americana  di «coordinare le azioni nella lotta al gruppo terroristico dello Stato islamico in Siria». Pare che la proposta si riferisca alla messa a punto di regole di sicurezza comuni per i piloti. Sul resto, è evidente, Washington e Mosca continuano a non andare d’accordo, e a sposare tesi e strategie praticamente opposte. Il Cremlino, infatti, non è assolutamente disposto a cedere sul punto chiave: Assad. Putin rimane convinto della necessità di consolidare la posizione del regime per poter lanciare un’efficace offensiva all’Isis, strategia del tutto respinta da Obama. Ma ora che la Russia ha accettato l’ipotesi di «coordinamento» con Washington, cambierà qualcosa? Le due potenze rivali dovranno prendere una direzione comune?

Verso una collaborazione Usa-Russia?
Non è affatto detto che sia così. Innanzitutto perché il patto di coordinamento verte solo su dettagli tecnici, e non obbliga Mosca e Washington a concertare gli obiettivi delle proprie missioni. Dato ancora più importante, quell’accordo ha pesanti ricadute geopolitiche e di immagine per entrambi i contraenti, e nettamente a vantaggio della Russia. Perché la proposta americana accettata da Putin, di fatto, ne legittima il ruolo militare e costituisce un riconoscimento a lungo cercato dal Cremlino nel suo tentativo di tornare alla ribalta sulla scena geopolitica mondiale. Caduto in frantumi il tentativo di isolarla dopo la crisi ucraina, Mosca torna ufficialmente a percepirsi come ai tempi della Guerra Fredda: un attore globale in grado di influire sulle dinamiche politico-militari mondiali, e per di più riconosciuto come tale anche dagli Usa.

Una legittimazione insperata per Putin
Come putualizza Gianluca Pastori dell’Università Cattolica, dunque, con questa mossa «ha fine l’ambizione di Washington a svolgere il ruolo di ‘potenza di riferimento’ nel Grande Medio Oriente, ambizione che risale, prima ancora che alla guerra del Golfo del 1991, alla ‘dottrina Eisenhower’ del 1957. Con essa ha fine la fase ‘neo-ideologica’ del confronto fra Stati Uniti e Russia, che proprio nella questione siriana aveva avuto uno dei suoi perni». E l’indiretta legittimazione di Putin «ripropone la logica delle sfere di influenza», perché di fatto sancisce il ruolo di Mosca come rivale geopoliticamente temibile e influente. Non è un caso che l’opinione pubblica americana veda nella Russia il principale nemico degli Stati Uniti, più pericoloso per la propria sicurezza di Cina, Iran e Corea del Nord: un primato di cui Mosca non può che andarne fiera.

Gli allarmi della Nato (pronta a intervenire?)
Insomma: più che un passo verso una reale collaborazione, questo accordo si è trasformato nell’ennesimo asso nella manica per Putin. Ma soprattutto, è diventato una dei tanti segnali che la «nuova Guerra fredda», che per anni sembrava sul punto di «scoppiare» sull’onda della crisi ucraina, è oggi più reale che mai sul fronte siriano. A dimostrarlo, le dichiarazioni di Jens Stoltenberg, segretario generale dell'Alleanza atlantica: «In Siria abbiamo verificato una preoccupante escalation delle attività militari russe. Valuteremo gli ultimi sviluppi e le implicazioni conseguenti per la sicurezza dell'Alleanza. Con particolare riferimento alle recenti violazioni dello spazio aereo della Nato da parte di velivoli russi». Il messaggio implicito contenuto in tali esternazioni è che non è più possibile escludere un coinvolgimento dell’Alleanza atlantica nella questione siriana. La NATO, in effetti, non partecipa alle campagne aeree né in Siria né in Iraq: può intervenire solo laddove venisse compromessa l’integrità territoriale o la sicurezza di uno degli stati membri, oppure qualora si raggiunga un consenso unanime per intraprendere un’azione militare «fuori area». Ma le recenti mosse dell’Aeronautica siriana e russa, che hanno messo nel mirino velivoli di Ankara e effettuato incursioni temporanee nei cieli turchi, potrebbero costituire il punto di non ritorno. Erdogan (fermo oppositore di Assad e impegnato più che mai nelle sue campagne anti-curde) potrebbe invocare l’articolo 4 del Trattato che obbliga il Consiglio Atlantico a riunirsi per discutere eventuali contromisure politico–militari, come avvenuto dopo l’abbattimento di un suo caccia da parte della contraerea siriana nel 2012. Così, quello che Mosca ha dichiarato essere stato un errore, per il Patto atlantico è una chiara strategia: lanciare una guerra di propa­ganda con i 28 paesi dell’Alleanza. In pratica, una dichiarazione di guerra (fredda).

La nuova cortina di ferro
Non solo: secondo la NATO, la Russia avrebbe già gli stivali sul suolo siriano. Che sia vero o no, l’isteria occidentale continua ad abbattersi sull’altro fronte accusandolo di escalation, accuse davanti alle quali a poco valgono le smentite di Mosca: perché Obama, lunedì, ha ordinato di armare 25mila com­bat­tenti, già attivi sul ter­reno, per evi­tare le figu­racce rime­diate nei mesi scorsi con il pro­gramma di adde­stra­mento in Tur­chia. La dinamica provocazione-risposta è un déjà vu storico, tipico degli anni della cortina di ferro. E oggi, con le brusche prese di posizione della NATO, l’atmosfera che aleggia non è tanto diversa da allora: segno che la nuova Guerra fredda, maturata giorno dopo giorno con l’inasprirsi della crisi ucraina, sul fronte siriano è ormai diventata una realtà. Con cui anche l’Europa dovrà, prima o poi, fare i conti.