24 aprile 2024
Aggiornato 08:00
L'analisi shock dell'ex comandante NATO Fabio Mini

«Vi spiego perché siamo già dentro a una nuova guerra mondiale»

Per Mini siamo alle soglie di un conflitto nucleare globale che potrebbe anche non determinare per forza un nuovo ordine mondiale, perché i segnali di resistenza sono tanti. E a farla da padrona è la guerra per bande

ROMA - Una nuova guerra mondiale? Non dobbiamo aspettarla a lungo perché ci siamo già dentro. E potrebbe presto sfociare in un conflitto nucleare. A cominciare dalla 'guerra fredda' che i paesi baltici hanno iniziato contro la Russia, dalla guerra «coperta» degli americani contro la stessa Russia, dai pretesti russi contro l’Ucraina, alla Siria, allo Yemen e agli altri conflitti cosiddetti «a bassa intensità» tutto sta ad indicarlo. Fabio Mini, Generale di Corpo d’Armata, capo di Stato Maggiore della NATO, capo del Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani e comandante della missione in Kosovo, tra i massimi esperti di geopolitica in Italia, ne è convinto.

Nel Pacifico si rischia la guerra atomica
In un'intervista pubblicata su «Critica scientifica» di Enzo Pennetta, Mini spiega che «quello che succede in Asia con il pivot strategico sul Pacifico è forse il segno più evidente che la prospettiva di una esplosione simile alla seconda guerra mondiale è più probabile in quel teatro. Non tanto perché si stiano spostando portaerei e missili (cosa che avviene), ma perché la preparazione di una guerra mondiale di quel tipo, anche con l’inevitabile scontro nucleare, è ciò che si sta preparando». Non è detto che avvenga in un tempo immediato, «ma più la preparazione sarà lunga più le risorse andranno alle armi e più le menti asiatiche e occidentali si orienteranno in quel senso». Mini la definisce una vera e propria «tragedia annunciata».

Stiamo vivendo una fase di grande transizione storica
Stiamo vivendo un periodo di transizione storica molto importante: il sistema globale voluto dai vincitori della seconda guerra mondiale «sta scricchiolando», i blocchi sono scomparsi, molti regimi politici voluti dalle potenze coloniali sono in crisi, «l’Africa si sta svegliando un giorno e regredendo il giorno successivo, le istanze economiche hanno il sopravvento su quelle politiche, sociali e militari, le periferie delle grandi potenze e i loro vassalli stanno cercando indifferentemente o maggiore autonomia o una servitù ancora più rigida».

La «nostalgia» per il colonialismo
I conflitti attuali sono i segnali più evidenti di questo processo che porterà ad una nuova formulazione dei rapporti e degli equilibri internazionali. Tuttavia, non è detto che questo passaggio porti al cosiddetto «nuovo ordine mondiale». «Le spinte al cambiamento e alla stabilità sono ancora flebili – prosegue Mini – e rischiano di cronicizzare i conflitti e le situazioni, altrettanto pericolose, di post-conflitto instabile. Ci sono segnali di forte resistenza al cambiamento in senso multipolare da parte delle nazioni più ricche ed evolute come da parte di quelle più povere». Quelle più ricche si stanno di nuovo orientando verso una politica di potenza affidata soprattutto agli strumenti militari, quelle più povere si stanno orientando verso la rassegnazione alla schiavitù. Il cosiddetto «nuovo ordine» potrebbe essere quello vecchio del modello coloniale. «In molti paesi dell’Africa si parla da tempo di «nostalgia» del periodo coloniale o si accusano le potenze coloniali di averli abbandonati. La potenza e la schiavitù sono complementari».

Siamo alla guerra tra bande, dove conta solo il profitto
Si sta sempre più delineando anche una guerra per bande. «Non essendoci più soltanto fini di sicurezza e non soltanto attori statuali, siamo nelle mani di bande con fini propri e senza alcuno scrupolo se non quello verso la propria prosperità a danno di quella altrui. Le bande si muovono senza limiti di confini e di mezzi, senza rispetto, solo all’insegna del profitto. Tendono ad eludere il diritto internazionale e la legalità, tendono a piegare gli stessi Stati ai loro interessi e a controllarne la politica e le armi». Oggi il problema degli eserciti e degli apparati di polizia non è quello di capire perché lavorano, ma per chi. «La finanza è l’unico sistema veramente globale ed istantaneo e si avvale di mezzi leciti e illeciti».

Il caso Grecia? «La guerra per bande quasi perfetta»
«La guerra finanziaria alla Grecia è la guerra per bande quasi perfetta. Atene ha subito un’imposizione che piegando la volontà del governo e della stessa popolazione è senz’altro un atto di guerra. Ma il vero scandalo della Grecia non è nell’imposizione subita, ma nell’apparente lassismo in cui è stata lasciata proprio dagli organismi internazionali che ne avrebbero dovuto controllare lo stato finanziario. Solo qualche sprovveduto può pensare veramente che la Grecia abbia alterato i propri bilanci senza che né Unione europea, né Banca Centrale Europea, né Fondo Monetario, né Federal Reserve, né Banca Mondiale, né le prosperose e saccenti agenzie di rating se ne accorgessero».

Perché il fallimento della periferia Ue serviva a Bruxelles
È molto più «realistico» pensare che al momento del passaggio all’euro «gli interessi politici della stessa Europa prevalessero su quelli finanziari e che gli interessi finanziari fossero quelli di far accumulare il massimo dei debiti a tutti i paesi membri più fragili». Già nel 2001 il dibattito sull’euro escludeva che molti paesi della periferia europea e quelli di futuro accesso (Europa settentrionale e orientale) potessero rispettare i parametri imposti. «Non è un caso se proprio i paesi della periferia siano stati prima indotti a indebitarsi e poi a fallire, o ad essere «salvati» dalla padella per essere gettati nella brace. Irlanda, Gran Bretagna, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia sono stati gli esempi più evidenti di una manovra che non è stata né condotta né favorita dagli Stati, ma gestita da istituzioni che si dicono superstatali e comunque sono improntate al sistema privatistico degli interessi del cosiddetto 'mercato'.