19 aprile 2024
Aggiornato 21:30
Il dietrofront della Bce

La svolta di Draghi e la fine dell'euro «immortale»

La svolta di Mario Draghi sull'euro apre a scenari imprevedibili. La moneta unica non è più considerata immortale e uscire dall'unione monetaria non sarà più un'eresia, ma una possibilità concreta

Il governatore della Bce, Mario Draghi.
Il governatore della Bce, Mario Draghi. Foto: Shutterstock

ROMA – Il «whatever it takes» con cui il presidente della Bce, Mario Draghi, nel lontano 2012 metteva fine alla fase acuta della crisi dell’euro e ne sanciva ufficialmente l’immortalità, non esiste più. Il governatore centrale ha ammesso, per giunta scrivendolo in una epistola nero su bianco, che l’Italia può uscire dalla moneta unica. E non si tratta affatto di una svolta da poco.

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La svolta di Draghi sull’euro
Sulla linea dell’orizzonte dell’Unione europea si profilano scenari inimmaginabili fino a qualche anno fa. Il custode della moneta unica, il governatore centrale Mario Draghi, ha dichiarato recentemente che l’Italia può uscire dall’euro, privando così definitivamente la valuta comunitaria della sua aurea di immortalità. Certo, ci aveva già pesato la Brexit a destare i cittadini comunitari dal loro sogno ad occhi aperti. Ma finché il referendum inglese restava nell’immaginario collettivo europeo un unicum non replicabile sul continente l’UE avrebbe potuto continuare a dormire sonni (quasi) tranquilli.

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L’inversione a «U» del presidente della Bce
Ora invece è il presidente della Banca centrale europea in persona ad effettuare una repentina inversione a «U», rinnegando il se stesso di appena quattro anni fa, che con sole tre parole e qualche sillaba in più («Whatever it takes») riusciva a metter fine alla fase acuta della crisi dell’euro non grazie agli strumenti di politica monetaria a sua disposizione, ma al suo capolavoro politico: far credere a tutti – e in primis ai mercati finanziari - che l’euro fosse irreversibile. E la parola chiave, allora come oggi, è «fiducia» concetto cardine della teoria keynesiana. Nessuno speculatore si sarebbe mai azzardato, infatti, a scommettere contro un banchiere centrale determinato a fare «qualsiasi cosa» per salvare la moneta unica.

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La condizione per lasciare l’Unione europea
Oggi lo stesso uomo seduto sulla poltrona più importante dell’Unione scrive invece in una epistola rivolta ai parlamentari europei che «se un paese volesse lasciare l'Eurosistema, i crediti e debiti della sua banca centrale nazionale con la Bce devono essere estinti totalmente». Quella fiducia incrollabile nei confronti dell’immutabilità dello status quo ha lasciato il posto a un non meglio definito panta rei dai risvolti imprevedibili. Le parole di Draghi ci dicono chiaramente che qualcosa si è rotto definitivamente nel sogno comunitario e che esiste un «prima» e un «dopo». «Prima» pensare di uscire dall’euro sarebbe stata un’eresia. Oggi (dopo il referendum inglese, ma soprattutto dopo che l’Unione ha rinnegato il sogno dei padri fondatori commettendo una serie infinita di errori politici ed economici) è una possibilità come un’altra.

Dalla «fiducia» keynesiana alla minaccia «draghiana»
Per evitare il collasso dell’UE, Draghi non può più contare su quel sentimento di «fiducia» che permeava tutti i popoli dell’Unione quattro anni fa. L’incantesimo si è spezzato. Non gli resta che ricorrere alla coazione perpetrata mediante minaccia. Lo Stato che vuole lasciare l’Ue – si legge nella lettera del governatore centrale – deve prima estinguere i suoi debiti con la Bce. E come sta messa l’Italia? A febbraio il Belpaese ha raggiunto un saldo netto negativo nei confronti di Target2 (il sistema di pagamenti interbancario europeo) pari a 356,6 miliardi di euro: è il debito più alto dell’Eurozona, seguito da quello spagnolo (328 miliardi di euro), da quello della stessa Bce (159 miliardi di euro) e da quello greco (72 miliardi di euro). Il paese messo meglio, invece, è guarda caso la Germania, che vanta un saldo netto positivo nei confronti di Target2 pari a 754, 3 miliardi di euro: Berlino a febbraio ha registrato il nuovo record di attivi nei confronti della Bce. Perciò, stando alle parole di Draghi, quale dei due paesi potrebbe lasciare l’Ue più facilmente? Proprio quello che è meno interessato a farlo e trae il maggiore vantaggio dalla moneta unica: la Germania. L’Italia non potrebbe permettersi, in questo momento, di pagare un debito così oneroso e sarà costretta a restare ingabbiata nella trappola «del marco camuffato» (per usare le parole con cui l’amministrazione Trump ha definito l'euro). Oppure no? Il vento della storia soffia forte di questi tempi e potrebbe riservarci eventi inimmaginabili.