Per la Germania Draghi è un «problema politico». L'euro finirà nel 2018?
Germania sempre più egemone: una piccola fiammata inflattiva scatena l'attacco tedesco contro Mario Draghi e tassi di interesse volutamente bassi. L'interesse tedesco è l'interesse degli europei?
BERLINO - Nella piccola Italia la parola «inflazione» assume un contorno mitologico. Qualcosa che ricorda gli anni dove le immagini in televisione erano solo in bianco e nero e della Rai. Inflazione, «la tassa più odiosa», si diceva. Oggi quel fenomeno macro economico temuto da tutti è una agognata chimera, perché mese dopo mese il nostro paese deve fare i conti con la deflazione, ovvero il costante deprezzamento dei beni di consumo dovuto alla scarsa domanda. Un fenomeno globale, creato da molteplici fattori, in buona parte riconducibili a fenomeni di dumping economico. Ma non ovunque è così: in Germania l’indice dei prezzi al consumo ha registrato un incremento più che doppio rispetto al mese precedente, passando da 0,7% a 1,7%. Per i tedeschi, ossessionati del demone dell’inflazione, è stato un duro colpo. Il pensiero della collettività è tornato ai tempi della Repubblica di Weimer, caratterizzati da iper inflazione, ovvero il combustibile che diede forza all’ascesa del nazismo. Non tutti gli storici sono concordi su questo aspetto, ma la società tedesca nutre pochi dubbi su tale meccanismo. La fiammata inflattiva ha avuto immediate ripercussioni sul bund, che oggi paga l'1,87%: un tasso sempre marginale, ma che ha sconvolto la percezione tedesca abituata a tassi negativi o quasi.
Deflazione o stagnazione ovunque: tranne che in Germania
In Italia, come detto, il problema è opposto. L’indice dei prezzi nel 2016 si è contratto dello 0,1%, mentre per l’anno corrente la crescita non dovrebbe superare lo 0,4%. Scarsa domanda, ripresa dei consumi inadeguata e stagnazione economica: il panorama, come noto, è oscuro. Il fenomeno deflattivo ha colpito quasi tutti i paesi dell’Europa meridionale, ma oggi ad avere ancora i sintomi più gravi siamo solo noi. Spagna e Portogallo manifestano segnali di ripresa, indicatori di una nuova domanda aggregata: sempre debole, ma lontana dalla calma piatta che caratterizza la nostra economia. Nella terra di mezzo invece si trova la Francia, che vanta un debole 0.8% nel 2016. Con noi, sul crinale che separa deflazione e inflazione è rimasta solo la Grecia. In generale la stagnazione dei prezzi, dovuta anche al crollo del valore delle materie prime nel 2016, interessa buona parte dei paesi Ue: Germania esclusa.
Schaeuble vs Draghi
Il «panico» tedesco ha subito trovato voce nel ministro delle finanze, Wolfgang Schaeuble, che ha colto l’occasione per richiamare il capo della Bce Mario Draghi, accusato di avere una politica poco consona con l’ideologia del rigore di bilancio, ovvero l’unico mezzo in grado di fermare l’inflazione. Che questa sia la causa scatenante della deflazione europea poco conta, par di capire. In particolare è lo strumento del Quantitative Easing ad essere messo sempre più sotto pressione: la Germana della Merkel auspica che vi sia una stretta sull’acquisto di titoli sovrani da parte della Bce, pari a 80 miliardi di euro mensili fino a marzo, che poi si ridurrà a 60 miliardi fino al termine dell’anno. L’idea tedesca è semplice e brutale, come spesso accade: «Nel nostro paese inizia a manifestarsi un accenno di inflazione, bisogna alzare i tassi. Non importa cosa accade negli altri paesi». Risulta evidente la rivendicata volontà di essere «primus inter pares» da parte della Germania: la Comunità Europea è composta di nazioni che tentano di cannibalizzarsi vicendevolmente, questo è noto. Ma qualcuno è più cannibale di altri, e qualcuno è più cannibalizzato di altri: noi.
Schaeuble: Bce crea «problemi politici» in Germania
Wolfgang Schaeuble ha attaccato Mario Draghi, accusandolo di creare problemi politici in Germania: «Non sono sorpreso dalle decisioni di oggi della Banca centrale europea che sta facendo un buon lavoro ma il suo orientamento crea «problemi politici» in Germania». La perdurante fase espansiva tedesca non può essere messa a rischio dalla, modesta, inflazione: e addirittura il governo della Germania, con il suo membro più influente, sposta il piano da finanziario a politico. La reprimenda di Schaeuble potrebbe essere così tradotta: «I tedeschi rischiano di vedere intaccato il benessere sociale, quindi la Merkel rischia di perdere le elezioni». Par di capire che le sorti dell’Unione europea siano incatenate alle fortune politiche della grande coalizione tedesca.
Draghi resiste, ma ancora per poco
«La dichiarazione di Schaeuble è comprensibile, replica Draghi, "da parte mia posso solo ripetere quello che dico da diversi mesi: ci vogliono tassi bassi ora per poterli avere più alti in futuro. La ripresa dell’eurozona è nell’interesse di tutti, compresa la Germania, e delle nostre misure hanno beneficiato anche i lavoratori e gli imprenditori tedeschi. Dobbiamo avere pazienza. Mano a mano che la ripresa si consolida, i tassi saliranno». Traduzione della risposta di Mario Draghi: L’Eurozona non ha come unico interesse quello della Germania che, tra l’altro, è il paese che più ha beneficiato della moneta unica. Quando ci sarà ripresa per tutti, il Qe verrà allentato come desidera il ministro Schaeuble.
Inflazione tassa sui consumatori, non un segnale di consumi che si impennano
Altre «piccole» cause potrebbero essere fatte valere, se solo ci fosse coraggio: l’inflazione in atto è dovuta, in gran parte, dalla ripresa del valore delle materie prime, soprattutto dei combustibili fossili. Di per sé una tassa sui consumatori e non un segnale di consumi che si impennano. L’euro, inoltre, è sempre più debole rispetto al dollaro: Donald Trump potrebbe rispondere su tale terreno ed un aumento dei tassi di interesse sarebbe molto pericoloso. Senza dimenticare che la Germania continua ad avere surplus commerciale, scaturente da forti esportazioni e scarsi investimenti esteri. La Germania, grazie all’euro, funziona come una enorme pompa idrovora che ingolla capitali.
Fine dell'euro nel 2018?
Lo scontro rimarrà a livello verbale per tutto il 2017. L’anno successivo potrebbe segnare invece il redde rationem, perché Mario Draghi dovrà lasciare la poltrona di capo della Bce. L’imposizione di un falco, uno dei papabili potrebbe essere Jens Weidmann, da parte della Germania porterebbe all’implosione della moneta unica. Ulteriori politiche restrittive non sono più tollerabili in Italia, Francia, Spagna e Portogallo. E a poco serve la retorica incardinata sul binario «riforme-austerità», ormai satura. L’Europa correrebbe non verso una necessaria revisione ideologica, bensì verso l’ignoto. Se la Germania vuole evitare questo scenario - le dichiarazioni ufficiali non valgono quanto i desideri più oscuri - deve aumentare i suoi investimenti nella zona euro che maggiormente soffre: Italia in primis. Deve accettare inflazione in casa propria, minima per altro, e deve ridurre il surplus commerciale. Lo farà?
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