20 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Lo strappo con Malagò

Olimpiadi Roma, il no della Raggi era l'unica risposta possibile

In assenza di una banca centrale nazionale, il debito è privato. E dunque imbarcarsi un'impresa di questo tipo avrebbe significato in ogni caso mettere a rischio sanità, scuola, pensioni e tutto il sistema pubblico italiano

ROMA - Fino a ieri pareva che qualche dubbio serpeggiasse tra gli uomini e le donne vicine a Virginia Raggi. Non già in virtù della reazione scomposta avuta dai vari poteri forti che mal vedono la perdita di una grossa torta. Varie spinte si intersecavano. La prima, è la più comprensibile: si voleva dimostrare all’Italia e al mondo che si possono organizzare i giochi Olimpici senza che questi siano una greppia. Giochi in cui tornino i valori umani e sportivi al centro, e non solo il business. Una sfida vertiginosa, perché contrasterebbe con buona parte delle recenti esperienze avute nelle città che hanno organizzato le Olimpiadi. Ad eccezione di Barcellona, gli esiti sono stati catastrofici ovunque. L’esempio italiano recente, Torino 2006, racconta di un evento organizzato perfettamente, ricco di pubblico, ma che ha lasciato sul campo conti pubblici disastrati, debito e impianti abbandonati.

L'assessore alle infrastrutture Berdini favorevole
L’assessore romano alle infrastrutture, Paolo Berdini, era il più favorevole a cogliere la sfida: «Io lavoro per il sì», aveva detto recentemente. La posizione del docente di urbanistica, notoriamente di estrazione marxista, è coerente con la sua formazione ideologica: spesa pubblica, keynesismo, per far ripartire l’economia romana. Soldi ben spesi, con attenzione e senza sprechi, controllando gli avvoltoi che già volteggiano in cielo. I conti ereditati dalla Raggi sono, come noto, disastrosi, la giunta quindi potrebbe varare manovre che prevedono duri tagli ai servizi. Il rischio è la bancarotta, default, e quindi il commissariamento. E quindi addio Roma, sia per la Raggi che per il M5s, lanciato verso il governo della nazione. Sarebbe un duro colpo.

Tutti stretti dentro a parametri econometrici strettissimi
Come sempre accade, grazie alle regole di bilancio Ue sul Patto di stabilità, sempre più spesso non sono gli uomini a governare in base alle loro idee, ma algoritmi che dettano, in base a parametri econometrici, cosa fare e cosa non fare. In questo senso la pioggia di soldi governativi su Roma avrebbe potuto salvare la situazione, nel breve periodo. Ma sarebbe stata una capriola culturale da spiegare alla base, anche perché la stessa Virginia Raggi ha sempre connotato il suo governo romano come «libero dalle Olimpiadi».

La triste realtà ci richiama al debito pubblico
Contro la visione, legittima e per alcuni versi condivisibile, dell'assessore Paolo Berdini che le Olimpiadi le voleva, si schiera un vero pezzo da novanta: la realtà. Realtà ingiusta, triste e folle, ma immanente. Il debito pubblico italiano viene aggiornato ogni sei secondi da un contatore: si può facilmente trovare su internet. Ogni tre secondi cresce di seimila euro. Attualmente ammonta a questa non trascrivibile cifra: 2249464569394 di euro. Sfortunatamente la locuzione «debito pubblico» in un sistema monetario come quello in essere nella Ue, e quindi in Italia, è un non sense.

In assenza di una banca centrale nazionale, il debito è privato
In assenza di una banca centrale nazionale di ultima istanza, con un sistema bancario privato sovranazionale, in presenza di patti di stabilità e vincoli di bilancio, per queste e molte altre ragioni, il debito del pubblico, quindi il debito dei cittadini italiani e del loro Stato, è squisitamente privato. Non è un caso che il conteggio di tale debito sia divenuto nel tempo totemico dal 1990 in poi. Non è un caso che da quella data sia divenuto il problema dei problemi, quando prima non lo era mai stato. Il meccanismo con cui ciò è stato possibile ha a che fare con la progressiva privatizzazione della moneta da parte delle banche centrali, nonché dei titoli di cui risponde lo Stato, oggetto di speculazione finanziaria sul mercato, come abbiamo chiaramente capito nell’autunno del 2011.

Fare le Olimpiadi sarebbe stato mettere a rischio scuola, sanità, pensioni e altro
In questo senso, viene a mancare la possibilità di spesa pubblica. Le Olimpiadi, come i tunnel di base, i tombini, le strade, i ponti, etc, si possono finanziare solo con le entrate fiscali, il resto deve essere recuperato sul mercato e va ad aumentare quel valore che cresce ogni tre secondi di seimila euro. È un valore che incide sull’offerta di servizi generali, che diventano alternativi gli uni agli altri. In parole semplici: accettare le Olimpiadi di Roma, con le attuali regole di fiscal compact, parametri di Maastricht, pareggio di bilancio, patto di stabilità etc, sarebbe stato mettere a rischio la sanità, le pensioni, la scuola pubblica e molto altro. Una gabbia dorata quella europea, dove siamo finiti.

Intanto le privatizzazioni avanzano senza sosta...
Quindi, anche nel caso in cui la Raggi avesse detto «sì» e fossero state organizzate alla perfezione, senza sprechi e speculazione edilizia, ruberie, riciclando impianti olimpici, le Olimpiadi di Roma 2024 sarebbero state comunque una mina vagante sui conti del paese. Questa è la ragione per cui Monti le respinse nel 2012. Si obbietterà che i grandi eventi ingenerano effetti moltiplicatori sul territorio. Scenario sicuramente vero nel breve periodo, ma dubbio nel medio lungo. L’unico esempio virtuoso in tal senso è sempre Barcellona. Purtroppo la spesa pubblica è costretta dentro regole che la trasformano in meccanismi estrattivi di valore. Per ogni euro «non produttivo» che finisce in spesa pubblica viene tagliato un euro di servizi, attraverso le privatizzazioni che proseguono senza sosta.