27 agosto 2025
Aggiornato 21:30
Dissidenti di cartone

Macché ribelli: i bersaniani si vendono a Renzi‏

La guerra interna al partito democratico sulla riforma del Senato si sgonfia improvvisamente: la minoranza trova un accordo con i renziani. Grazie a tre miseri emendamenti e, sostiene qualcuno, alla promessa di qualche posto al governo

ROMA – Per mesi e mesi ci hanno fracassato ogni appendice del corpo ripetendo fino alla nausea sempre il solito ritornello: con questa riforma del Senato è a rischio la democrazia. Sprezzante del totale disinteresse (e a buona ragione) del popolo italiano verso questo genere di pastrocchi costituzionali, la minoranza del Partito democratico voleva convincerci a tutti i costi che la proposta Boschi non fosse semplicemente una legge inutile e pasticciata, ma addirittura un pericolo per il Paese. Trasformando Matteo Renzi non nel ridicolo dittatorello che in realtà è, ma in una sorta di reincarnazione moderna di Mussolini: un paragone di per sé piuttosto incredibile, non fosse altro per il «physique du rôle» inesistente del bulletto di Firenze. Eppure, a forza di sentir ribadire fino alla nausea questa noiosa litania, qualcuno ci aveva creduto davvero che stavolta i bersaniani facessero sul serio. E fossero pronti ad andare fino in fondo per difendere la nostra amata Costituzione.

Tre miseri emendamenti
Nulla di più sbagliato. Anche stavolta, infatti, è andata a finire come con la legge elettorale, come con il Jobs act, come con la Buona scuola. Dopo mesi di grida, di proteste, di vesti strappate, di minacce di scissione, di chiamate alle armi, improvvisamente i dissidenti hanno trovato un accordo con la maggioranza. E tutta la loro fiera opposizione si è sgonfiata come per magia. «Questo è il partito che mi piace», ridacchiava giulivo ieri mattina Pierluigi Bersani, in una ritrovata atmosfera di concordia universale con il suo presunto arcinemico Renzi (tanto da aver votato senza colpo ferire perfino la legge bavaglio sulle intercettazioni). Per metterli a tacere sono bastati tre miseri emendamenti che definiscono le funzioni dei nuovi senatori, le loro competenze e il meccanismo della loro elezione: che continuerà ad essere svolta dai Consigli regionali, come voleva il premier, ma sulla base di una scelta (parziale e non si sa bene con che modalità) degli elettori. Con l'aggiunta di questa manciata di righe, quella stessa riforma del Senato che sembrava la porta d'ingresso per il nuovo fascismo si è improvvisamente trasformata in un capolavoro dei nuovi padri costituenti.

Per un posto al governo
O forse dietro a questo accordo c'è qualcosa di più dei semplici emendamenti, come adombra un'indignata Laura Puppato, una delle poche esponenti della minoranza Pd dalla faccia pulita: «Alla fine la questione dell’elezione diretta dei senatori è servita alla minoranza del mio partito solo per forzare la mano e ottenere una rappresentanza al governo (forse per Vasco Errani, mediatore dei bersaniani ed ex presidente dell'Emilia Romagna dimessosi per la condanna in primo grado, ndr) – ha dichiarato al Fatto quotidiano – Personalmente trovo deludente smerciare i grandi ideali per un piatto di trippa». Un capolavoro di coerenza e credibilità politiche, insomma, da parte di quel gruppetto «de sinistra» che, non si capisce bene dall'alto di che cosa, continua imperterrito a professarsi portatore dei grandi valori democratici, mentre in realtà pensa anche lui ai soliti piccoli interessi di bottega. Proprio come nelle stesse ore, da destra, ha fatto la pattuglia dei tredici senatori verdiniani, ormai entrati ufficialmente a far parte della maggioranza. Alcuni dei quali (come Galati, Ruvolo e l'ex ministro Saverio Romano) giunti direttamente dal partito di Raffaele Fitto, in cui erano confluiti solo qualche settimana fa abbandonando Berlusconi, perché a loro dire era troppo vicino a Renzi. Talmente tanto che ora a sostenere Renzi ci vanno loro in prima persona. Tutto pur di non rischiare la poltrona per colpa di eventuali elezioni anticipate. E poi dice che uno si butta sul M5s o sulla Lega: con degli oppositori così, Matteo Renzi rischia di governare indisturbato per altri vent'anni.