19 aprile 2024
Aggiornato 01:00
Matteo non sta più sereno

Elezioni regionali, Renzi salvato dagli impresentabili

Il Pd strappa solo la Campania grazie alle criticatissime liste di sostegno a De Luca. In Liguria lo sgambetto del centrodestra di Toti. Regioni rosse a parte, il partito del premier è poco sopra al 20%. Con il fiato sul collo di Lega e M5s

ROMA – Com'è buffo, a volte, il destino. Se i cittadini campani avessero davvero seguito il suo consiglio sugli impresentabili («Alcuni di loro non li voterei mai»), Matteo Renzi avrebbe perso le elezioni. La Campania, infatti, è l'unica Regione conquistata dal Partito democratico in questa tornata: merito dell'impresentabile (secondo l'Antimafia) Vincenzo De Luca, ma soprattutto della sfilza di impresentabili che infarcivano le liste collegate a suo sostegno. Il sindaco di Salerno ha infatti prevalso sull'uscente Stefano Caldoro per poco più di un punto e mezzo: insomma, decisivo si è dimostrato proprio quell'esercito di indagati, condannati, processati, trasformisti o riciclati che il centrosinistra ha imbarcato pur di vincere. Missione compiuta, benché per il rotto della cuffia. Ma un istante dopo che il Renzi segretario del Pd ha incassato il risultato, il Renzi premier si trova sul tavolo la patata bollente della legge Severino. Il dilemma è servito: cancellare quella stessa norma che regalò ai piddini lo scalpo di Silvio Berlusconi, oppure chiedere un passo indietro a De Luca incoronando un non meglio precisato suo vice? In entrambi i casi, bella vittoria...

La rivincita dei gufi
Sempre che di vittoria si possa parlare davvero. Il 5-2 del centrosinistra, infatti, oltre che in Campania è maturato solo nelle altre roccaforti rosse: Puglia, Toscana, Umbria, Marche. A parte queste Regioni storiche, il Partito democratico ha galleggiato ovunque poco sopra il 20%: la metà esatta del 40 ottenuto un anno fa alle europee. L'effetto Renzi, insomma, non è svanito del tutto, ma Renzi da solo non basta più a vincere le elezioni. Il superuomo che voleva dettare le regole a tutta Italia non ha convinto gli italiani, e neppure metà dei suoi ex elettori. Da oggi sarà un po' meno forte in parlamento, e il cammino già stentato delle riforme a sua immagine e somiglianza dovrà fare i conti anche con quella abborracciata minoranza interna di sinistra. Bersani, Cuperlo, Fassina e compagni non hanno infatti ottenuto chissà quale exploit, ma nell'unica Regione in cui si presentavano da soli (la Liguria, in sostegno di Luca Pastorino) con il loro 9% sono risultati decisivi nella sconfitta 35% a 28% della piddina Raffaella Paita contro il forzista Giovanni Toti. E, se riusciranno a tirare fuori un po' di convinzione, potrebbero sfruttare questo traino per organizzarsi, magari fondare gruppi parlamentari autonomi e battere i pugni sul tavolo. Meglio tardi che mai.

La grande chance di Salvini e Grillo
E gli altri partiti? Nonostante la già citata vittoria rumorosa in Liguria di un candidato berlusconiano doc come l'ex direttore di Studio Aperto, che bastona la delfina del fu ras genovese Claudio Burlando, le urne sanciscono il crollo di Forza Italia, che non ha più la leadership nemmeno nel suo centrodestra. Dove schiera il candidato presidente riesce a stento a superare il 10%, altrove resta anche sotto questa soglia. Pure per Silvio Berlusconi, insomma, da oggi sarà un po' più difficile fare la voce grossa nella sua coalizione. Anche perché il dissidente Raffaele Fitto si è preso una bella rivincita (certo, con il vantaggio del fattore campo nella sua Puglia), battendo con il proprio candidato Francesco Schittulli la berlusconiana Adriana Poli Bortone. L'ennesimo e più forte segnale che è giunto finalmente il momento di aprire il cantiere per la successione del Cav, con le primarie o senza. Per giunta, dall'altra parte della barricata c'è una Lega Nord che gode di ottima salute: conferma il suo Veneto con la maggioranza assoluta dei voti, nella rossa Toscana è secondo partito e pure in Liguria sta sopra il 20%. Risultati che fanno il paio con quelli del Movimento 5 stelle: anche i grillini, infatti, si sono laureati secondo partito in molte Regioni e quasi ovunque hanno superato lo scoglio del 20. Il che, visto da una prospettiva nazionale, significa una sola cosa: Matteo Salvini e Beppe Grillo, per ora, si contenderebbero il ballottaggio come anti-Renzi, ma le cifre del Partito democratico non sono più così distanti come sembrava. Persino una legge elettorale cucita su se stesso come l'Italicum potrebbe insomma non bastare a Renzi per trionfare. A patto, naturalmente, che le opposizioni riescano finalmente ad organizzarsi. Dipende tutto da loro.