26 aprile 2024
Aggiornato 21:30
Un accordo basato su una grande illusione e un'enorme ipocrisia

Accordo UE-Turchia sui migranti: l'ultima chance per l'Europa o il suo fallimento?

L'atteso vertice tra Ue e Turchia è forse il più sconfortante segno del fallimento dell'Europa. Che, davanti alla crisi migratoria, aveva davanti due strade: dare prova di leadership globale e di collaborazione tra i suoi membri, o affidarsi a quell'ambiguo Paese che però (comprensibilmente) non vuole ammettere nell'Unione. E ha scelto la seconda

BRUXELLES - Il vertice tra Ue e Turchia in programma per oggi è forse uno dei più sconfortanti segni dei «mala tempora» in cui versa l'Unione europea. Quel vertice è atteso dai leader del Vecchio Continente con grande trepidazione e grandi speranze, al punto che, secondo il commissario Ue per le migrazioni, l'accordo con Ankara è l'ultima chance per salvare il libero movimento delle persone nel territorio europeo. Nei giorni scorsi, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk si è recato ad Istanbul per assicurarsi che l'accordo sui migranti vada in porto. Pare che l'intesa preveda che i migranti - profughi siriani compresi - intercettati in mare dai mezzi della NATO vengano rimandati in Turchia. La stessa sorte la subiranno i migranti che arriveranno in Grecia e che non sono di nazionalità siriana. Addirittura, sul tavolo c'è una proposta del governo olandese che vorrebbe estendere anche ai profughi siriani il programma di respingimento. Insomma: il veto posto dai Paesi europei riguarderebbe non solo i cosiddetti «migranti economici» (definizione su cui, peraltro, ci sarebbe molto da obiettare), ma anche i «profughi» veri e propri, che pure le convenzioni internazionali obbligherebbero ad accogliere. In cambio della sua collaborazione, Ankara riceverà aiuti umanitari per 3 miliardi di euro e otterrà che siano riaperti i negoziati per la sua adesione all’Unione e la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi che vogliono entrare in Europa.

Il fallimento dell'Europa
Di immagini sconfortanti sul quel che resta dell'Europa ne abbiamo viste parecchie; ma il tanto sospirato accordo con la Turchia è forse la fotografia più rappresentativa, e più tragica, di quello che siamo diventati: è la fotografia di un fallimento. Perché, all'indomani del naufragio del 18 aprile scorso che ha mietuto circa 1000 vittime, l'Europa sembrava destinata ad impegnarsi a concertare una politica comune d'asilo e d'immigrazione, aperta ai ricollocamenti per aiutare gli Stati di primo arrivo (come Grecia e Italia), e addirittura disposta a ripensare il sistema di Dublino II, che obbliga i richiedenti asilo a fermarsi nel primo Paese sicuro d'arrivo (cioè sempre Italia e Grecia). Ebbene, questa strada è chiaramente fallita. Oggi, anziché trovare una strategia condivisa tra i 28 Paesi Ue per gestire un flusso che, al netto di una popolazione di 500 milioni di persone, sarebbe possibile gestire, Bruxelles punta sulla Turchia. E lo fa affidandosi alla massima illusione e alla più grande ipocrisia.

L'illusione e l'ipocrisia
L'illusione sta nel pensare che la Turchia sia davvero disposta a trattenere i migranti al di qua dell'Egeo, e, soprattutto, che sia in grado di farlo. Gli eventi dell'ultimo anno ce lo hanno ampiamente dimostrato: nemmeno le barriere fisiche riescono a sbarrare la strada a chi fugge dalla guerra, dalla disperazione, dalla fame. Figurarsi quanto potranno essere efficaci le forze di sicurezza turche, in un Paese tanto ambiguo da essere accusato di loschi traffici di oro nero con l'Isis. Ma anche se Ankara volesse rispettare i patti, non è affatto detto che potrà farlo: perché la Turchia accoglie già il più alto numero di rifugiati di qualsiasi provenienza, e in particolar modo siriani: solo nel 2014, ha dato asilo a ben 1 milione 600 mila profughi siriani, circa il 47% del totale. Siamo convinti che, se un'Europa di 500 milioni di persone fatica a dare ospitalità a 1 milione di nuovi arrivati, potrà farlo la Turchia? E qui, neanche a dirlo, scatta l'ipocrisia: perché l'Europa è perfettamente consapevole delle denunce arrivate da diverse ONG a proposito delle condizioni disumane a cui i profughi sono costretti nel grande Paese mediorientale. E proprio in queste ore, è giunto l'allarme di Human Rights Watch«Detto semplicemente, la Turchia non è un Paese sicuro per rifugiati e richiedenti asilo». Perché Ankara ha sì firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, ma mantiene una limitazione geografica a causa della quale, in sostanza, concede protezione soltanto a chi proviene dai Paesi europei. Cioè in pratica a nessuno, dal momento che i rifugiati di cui si parla vogliono entrare proprio in Europa. Solo i siriani godono di un permesso temporaneo, che consente loro di restare nel Paese e dà loro accesso al sistema sanitario e scolastico (e, da poco, in forma limitata, al mercato del lavoro), ma senza la protezione completa prevista dalla Convenzione. Dettagli, per l'Ue, la cui unica preoccupazione, al momento, sembra essere quella di togliersi il problema dei profughi.

L'ipocrisia delle ipocrisie
L'ipocrisia delle ipocrisie è che, per bloccare i flussi di migranti, stiamo scendendo a patti con un Paese che non abbiamo voluto in Europa, e che ancora oggi non vogliamo. Lo ha ribadito ieri il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble. Una posizione peraltro comprensibile, viste le gravi lacune democratiche che continuano a registrarsi sotto il super-presidente Erdogan. Evidentemente, però, da queste «lacune democratiche» nemmeno l'Europa è esente. Un'Europa che aveva davanti due strade: affidarsi a se stessa, dare prova di una leadership globale, richiamandosi ai principi che ne hanno ispirato la fondazione, e cogliere questa (pur drammatica) occasione per risvegliare uno spirito di collaborazione e solidarietà sopito da troppo tempo; oppure, infrangersi sul flusso dei migranti, frammentarsi con iniziative unilaterali, addirittura chiedere aiuto all'ambiguo Paese dell'odiato sultano Erdogan. Abbiamo scelto questa seconda strada.Che, oltre ad essere la più cinica e disumana, è anche quella che più probabilmente sarà destinata a fallire.