18 aprile 2024
Aggiornato 23:30
Mosca interviene in Medio Oriente per la prima volta dagli anni ’80

Le 3 mosse con cui la Russia è tornata a comandare il mondo

Nel giro di un ventennio, la Russia, passando per guerre, crisi economiche e sfiorate disintegrazioni, è tornata protagonista della scena internazionale nell’ambito della crisi siriana. Gli errori degli Usa hanno avuto un ruolo chiave. Ma Putin ci ha messo del suo

MOSCA – Subito dopo il loro incontro, e i rispettivi discorsi davanti all’Assemblea generale Onu, è apparso piuttosto chiaro che la proposta avanzata da Putin a Obama di creare una vera e propria coalizione contro l’Is sarebbe rimasta una chimera. Washington e Mosca, di fatto, rimangono in totale disaccordo perlomeno sulla questione centrale – il ruolo di Assad –, e finché uno dei due non sarà disposto a retrocedere, nessuna alleanza forte e duratura sarà realizzabile. Un’altra cosa, però, è apparsa piuttosto chiara: a uscire vittorioso dal braccio di ferro tra Russia e Stati Uniti è stato il capo del Cremlino, che, con la decisione di intervenire in Siria, ha letteralmente sparigliato le carte in tavola. Il pugno duro Putin l’ha mostrato ieri, quando ha dato il via ai raid contro l’Is, imbarcandosi nella prima azione militare in Medio Oriente dagli anni ’80. Ma la palese dimostrazione di aver già «vinto» (perlomeno rispetto al rivale americano) è giunta con la notizia della sospensione, da parte della Casa Bianca, del programma di addestramento dei ribelli siriani, perché, come già ammesso, «non soddisfa le aspettative».

Realpolitik e lotta all’Is
Del resto, che Putin «sulla Siria ha ragione» lo ha sostenuto perfino il Guardian, quotidiano non esattamente «tifoso» del capo del Cremlino. A detta del giornalista, però, questioni di «realpolitik» imporrebbero all’Occidente di interloquire con Assad per mettere fine al massacro perpetrato dall’Is, e di collaborare con la Russia. Al contrario, la reticenza americana non ha fatto altro che infilare nuovi assi nella manica di Putin, favorendo la sua ascesa nel panorama internazionale. Perché, c’è da ammetterlo, quello che il capo del Cremlino ha costruito in poche mosse è un autentico capolavoro di strategia geopolitica.

Gli errori del nemico
Non è questione di tifo: comunque la si pensi sulla Siria e su Assad, il fatto che Obama non si sia mostrato mai tanto debole e indeciso come oggi è sotto gli occhi di tutti. La strategia americana ha fallito: delle migliaia di ribelli addestrati, quelli che in effetti si sono impegnati, armi in mano, contro il terrorismo si contano letteralmente sulle dita di una mano (4 o 5). E nonostante l’impegno della coalizione guidata da Obama, i fatti dicono che lo Stato islamico ha continuato a espandersi sul territorio. Ma la «sconfitta americana» affonda le sue radici più indietro nel tempo, in quell’ossessione, tipica dell’esecutivo di Bush, di «esportare la democrazia» denunciata da Putin nel suo discorso. Tutto ciò ha creato il terreno perfetto per la riscossa di Mosca: Putin si sta premurando di interloquire con i maggiori attori dell’area – Egitto, Iran, Turchia, Arabia Saudita, Iraq – per centrare l’obiettivo e garantirsi un ruolo di tutto rispetto sulla scena mediorientale, dopo un’assenza durata più di un trentennio. Addirittura, alcune fonti (tra cui il sito americano ZeroHedge e il senatore russo Igor Morozov) ventilano un possibile imminente intervento di Pechino al fianco di Mosca in Siria.

Le 3 mosse strategiche di Putin
Ma non sono solo gli errori degli altri ad aver «favorito» la Russia. Perché Putin, la sua rivincita, se l’è costruita con almeno 3 mosse strategiche dal punto di vista geopolitico. La prima, il riuscito «congelamento» del conflitto ucraino, che avrebbe dovuto isolarlo a livello internazionale e sfiancarlo economicamente a colpi di sanzioni. Con l’intervento in Siria, il capo del Cremlino ha invece riconquistato quel peso che Obama avrebbe sperato di togliergli dopo l’annessione della Crimea. La seconda, la capacità di alienare, dagli States, i fedelissimi alleati europei, fatta eccezione per Hollande. Alleati che sono stati disposti a incassare cospicue perdite economiche, pur di accodarsi a Obama sull’Ucraina, ma che, sulla Siria, sembrano pensarla diversamente. A dimostrarlo, i recenti «endorsement» di Angela Merkel, del ministro degli Esteri spagnolo e dello stesso Renzi. Non da ultimo, Putin è riuscito nella difficile impresa di riabilitare la figura di Bashar al Assad, che quattro anni di guerra immortalati dagli impietosi media occidentali avevano quasi definitivamente screditato agli occhi del mondo. Oggi, addirittura Angela Merkel ammette la necessità di interloquire con quello che, per Washington, rimane un «orribile dittatore», ma che per il Cremlino è l’unica forza in campo da sostenere contro il terrorismo, nonché il presidente legittimamente eletto dai siriani. A tutto ciò, si aggiunga il larghissimo consenso che Putin è riuscito a conquistarsi in patria, e l’innata capacità di Mosca di non desistere mai e cadere sempre in piedi.

Le sette vite della Russia
Così, dopo il catastrofico decennio in cui Boris Eltsin aveva faticato a tenere insieme il Paese più vasto del mondo, dopo due colpi di stato (1991 e 1993), due guerre in Cecenia (1994-96 e 1999-200), il default economico (1998), una guerra con la Georgia (2008), la crisi ucraina e una spaventosa crisi economica provocata dal crollo del rublo, del prezzo del petrolio e dalle sanzioni occidentali, l’ennesima rinascita. Si potrebbe dire che la Russia ha sette vite; di certo, ha un leader che difficilmente si lascia mettere all’angolo.