23 aprile 2024
Aggiornato 08:00
Sono capaci di mettere in discussione le relazioni internazionali

Quando la storia, e la memoria, ci fanno paura

Gli antichi dicevano che la storia è maestra di vita. Di certo, alcuni episodi recenti - la querelle sul genocidio armeno, il gelo tra Cina e Giappone per i fatti della II Guerra mondiale e il processo all'ex contabile di Auschwitz - ci hanno dimostrato in queste ore quanto essa possa arrivare a farci paura, e quanto la memoria sia spesso difficile, dolorosa, inaccettabile.

ROMA - Gli antichi dicevano: «historia magistra vitae», la storia è maestra di vita. Eppure, è la storia stessa ad aver disatteso più e più volte il proverbio, dimostrandoci come imparare dagli errori del passato sia molto più difficile di quanto si pensi. Non solo: la storia, soprattutto ultimamente, non ha mancato di esibire tutto il suo peso, specialmente quando diventa oggetto di rivendicazione e arriva a compromettere, addirittura, le relazioni tra Paesi.

La querelle sul genocidio: una parola basta a far tremare
Prosegue da settimane la querelle internazionale scoppiata intorno a una parola: nove lettere che la Turchia, proprio, rifiuta non solo di pronunciare, ma anche di sentire. Da quando Papa Francesco ha ricordato quello armeno come il primo, grande, «genocidio» del XX secolo, lo scacchiere geopolitico internazionale ha cominciato a tremare. Da un minuto all'altro, il Pontefice, nelle parole dei vertici di Ankara, è diventato adepto «delle forze del male», e la Turchia vittima di una persecuzione perpetrata dai libri di storia. Da quell'istante, a tutti i governi, europei e non, si è posta la difficilissima scelta se confermare la versione del «genocidio», rischiando però di compromettere i preziosi rapporti con Ankara, oppure soprassedere, nonostante il Parlamento europeo avesse approvato, nel frattempo, una risoluzione per celebrarne il centenario. A chi ha scelto di percorrere la prima via - come la Francia, l'Austria, la Germania o la Russia - si è rovesciato addosso lo sdegno turco. In tutt'altro modo si è comportata, invece,  la Casa Bianca. «Non vorrei che Obama usasse la parola 'genocidio' e non mi aspetterei una cosa del genere», aveva detto il presidente Erdogan; e Washington non ha deluso i turchi. Il presidente Obama, rimangiandosi una promessa fatta nel 2008 in campagna elettorale, non userà la parola «genocidio» per definire le stragi di massa di cui Erevan commemora il centesimo anniversario. Quando si dice, il potere della parola.

Il gelo tra Tokyo e Pechino per le commemorazioni giapponesi e le scuse reticenti
Ma il caso turco non è stato l'unico episodio a dimostrarci quanto la storia, e la memoria, possano rivelarsi pesanti e inaccettabili. Da qualche giorno le relazioni tra Cina e Giappone sono infatti appese a un filo, per la scarsa disponibilità di Tokyo - secondo Pechino - nell'assumersi le responsabilità delle azioni compiute durante la Seconda Guerra Mondiale. E' bastato che Shinzo Abe offrisse un dono al santuario più nazionalista di tutto il Giappone, dove sono sepolti 14 criminali di guerra condannati dagli Alleati dopo la Seconda guerra mondiale, perché la Cina sussultasse. Una stretta di mano durante il summit Asia-Africa tra Abe e Xi Jinping ha fatto parlare di disgelo, ma Pechino non è rimasta troppo soddisfatta dal «rimorso» timidissimo del premier nipponico per le azioni di cui i soldati giapponesi si sono macchiati tanti anni prima. La notizia dei 100 deputati e due ministri in visita al santuario ha ri-gelato il disgelo, cancellando in un istante il piccolo riavvicinamento tra i due grandi dell'Asia. Che sì, hanno altri interessi in gioco per non andare troppo d'accordo, ma che niente ha diviso più palesemente del semplice ricordo.

La «responsabilità morale» dell'ex contabile di Auschwitz
Uno a cui la memoria non è mancata è stato l'ex contabile di Auschwitz, chiamato a rispondere di aver fatto parte della macchina dello sterminio in mondovisione a 93 anni davanti a un tribunale. Il ricordo, per quell'anziano signore tedesco di nome Oskar Groening, un tempo arzillo membro delle SS, è stato indelebile e innegabile. Ma la confessione si è limitata all'ammissione di una responsabilità morale, non penale. Groening, cioè, ha ammesso di avere assistito alle uccisioni di massa, di essere stato presente sulla rampa ferroviaria all’arrivo di tanti convogli provenienti da ogni parte d’Europa, di aver visto camere a gas e forni crematori. Lui, però, ha solo visto, non ha agito. «Vi chiedo perdono», ha quindi concluso davanti alla corte. Non sapremo mai se tale richiesta sia sintomo di un pentimento sincero, o sia stata imposta dalle circostanze. Di certo, è questo l'ennesimo esempio di quanto la storia possa arrivare a farci paura. Perché la memoria, per quanto si cerchi di cancellarla, di modificarla, di depennarla o di rinominarla, rimane lì, indelebile, a ricordarci, anche a distanza di secoli, le nostre colpe.