Pensioni, quello che dovete sapere su quota 41, 96, 97 e 100
Il capitolo pensioni è ancora aperto e tutti i riflettori sono puntati sulle novità più importanti del pacchetto previdenza del governo Renzi, come l'anticipo pensionistico. Ma ecco cosa s'intende quando si fa riferimento a quota 41, 96, 97 e 100.
ROMA – Il capitolo pensioni non è ancora chiuso. Prima dell'approvazione della legge di Bilancio potrebbero arrivare altre novità. I tecnici di Palazzo Chigi stanno limando gli ultimi dettagli del piano previdenza del governo Renzi. Negli ultimi giorni diversi provvedimenti contenuti nel pacchetto pensioni, come l'anticipo pensionistico, sono finiti sotto i riflettori e sono stati duramente contestati dalle opposizioni e dai sindacati. In tutta Italia si sono svolte numerose manifestazioni di protesta. Ecco gli ultimi aggiornamenti e cosa s'intende quando si fa riferimento a quota 41, quota 96, 97 e 100.
Il capitolo pensioni è ancora aperto
Il capitolo pensioni è ancora aperto. E tutti i riflettori sono puntati sulle novità più importanti del pacchetto previdenza del governo Renzi, come l'anticipo pensionistico (la cosiddetta Ape) e l'aumento della quattordicesima. I tecnici di Palazzo Chigi stanno limando gli ultimi dettagli del piano pensioni e non sono esclusi colpi di scena fino all'approvazione definitiva della legge di Bilancio 2017. Nel frattempo, in tutta Italia, si susseguono però manifestazioni di protesta che riguardano in particolare la mini pensione e la quota 41 (LEGGI ANCHE "Riforma delle pensioni, riassunto veloce di cosa vuole fare il governo").
- Quota 41
In questi giorni si fa spesso riferimento alla quota 41, alla quota 96, alla quota 97 e alla quota 100. Ma cosa sono esattamente? Andare in pensione con 41 anni di contributi è il significato di quota 41. Con il numero 41, infatti, si intendono gli anni di contributi previdenziali versati dal lavoratore. E quando si fa riferimento alla quota 41 ci si rivolge alla platea dei lavoratori precoci, cioè coloro che hanno iniziato a lavorare prima del compimento della maggiore età. Queste persone infatti, avendo iniziato la loro carriera in giovanissima età, maturano delle anzianità contributive molto elevate che vanno ben oltre i 40 anni di contributi. Proprio loro sono maggiormente colpiti dall'abolizione della pensione di anzianità e a loro è destinata la misura dei mini bonus contenuta nel piano pensioni dell'Esecutivo (LEGGI ANCHE "Pensioni, tutto ciò che c'è da sapere sull'ipotesi dei mini bonus").
- Quota 96
Quando si parla di quota 96, invece, si fa riferimento al personale docente della scuola che ha maturato, secondo la vecchia disciplina pensionistica, un diritto alla pensione tra il 1 Gennaio 2012 ed il 31 Dicembre 2012, ma che è rimasto bloccato e cioè impossibilitato a lasciare il posto di lavoro per via dell’approvazione della Riforma Fornero. In questo caso, però, contrariamente alla situazione dei lavoratori precoci, sembra che il governo Renzi preferisca soprassedere.
- Quota 97
E arriviamo a quota 97. In questo caso si tratta della possibilità di andare in pensione a 62 anni a fronte del perfezionamento di almeno 35 anni di contributi con delle penalizzazioni. Con l'anticipo pensionistico (la cosiddetta Ape) si potrà invece andare in pensione a 63 anni e 7 mesi, con un anticipo di circa 3 anni rispetto a quanto aveva stabilito la Riforma Fornero, aprendo un prestito con la banca che verrà restituito mediamente in 20 anni con una percentuale sull'assegno previdenziale che può oscillare dal 2% al 15% (LEGGI ANCHE "Pensioni, con l'Ape si va in pensione a 63 anni. Ma chi paga?")
- Quota 100
Infine, quando si parla di quota 100 si fa riferimento a un progetto particolarmente caro all'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano. Con questa proposta verrebbero sommati gli anni di contributi all'età anagrafica e la pensione verrebbe corrisposta appunto a quota 100 (ad esempio 62 anni e 38 di contributi). In questo modo verrebbe ripristinata una sorta di pensione di anzianità alla quale abbiamo detto addio con la Riforma Fornero e si garantirebbe una maggiore flessibilità di uscita dal mercato del lavoro.
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