17 settembre 2024
Aggiornato 10:30
Fisco

L'Europa dice «sì» agli studi di settore. E «no» a quota 100

Per la Corte di giustizia europea gli studi di settore sono legittimi, mentre per la Commissione la riforma delle pensioni sarebbe un «passo indietro»

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, arriva a Bruxelles
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, arriva a Bruxelles Foto: Filippo Attili ANSA

BRUXELLES – È legittimo ricorrere agli studi di settore per determinare «induttivamente» il livello di reddito potenziale di un contribuente, al fine di prevenire l'evasione fiscale; tuttavia, il contribuente stesso deve poter contestare l'esattezza e la pertinenza delle valutazioni dell'Agenzia delle Entrate, senza che il livello di prova a suo carico sia eccessivamente elevato. È quanto afferma, in sostanza, la Corte europea di Giustizia in una sentenza emessa oggi a Lussemburgo e riguardante il caso di una consulente italiana, Fortunata Silvia Fontana, che nel 2010 si era vista rettificare la dichiarazione dei redditi, con conseguente aumento delle imposte dovute, fra cui l'Iva. La signora Fontana aveva impugnato la decisione dell'Agenzia delle Entrate davanti alla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria, territorialmente competente, che ha quindi rivolto una questione pregiudiziale alla Corte europea di Giustizia, chiedendo, se la normativa sugli studi di settore sia conforme al diritto Ue.

Le motivazioni dei giudici europei
Nella sua sentenza, la Corte sottolinea che gli Stati membri dispongono di un margine discrezionale riguardo ai mezzi utilizzati al fine di raggiungere gli obiettivi di assicurare la riscossione dell'Iva e di evitare l'evasione, ma sono tuttavia tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e, nel caso specifico, nel rispetto dei principi di proporzionalità e di neutralità fiscale. In particolare, la Corte sottolinea che il contribuente deve poter contestare tanto l'esattezza quanto la pertinenza dello studio di settore. Inoltre, dev'essere in grado di far valere le circostanze per le quali il volume d'affari dichiarato, benché inferiore a quello determinato in base al metodo induttivo, corrisponda alla realtà della propria attività nel periodo interessato. Infine, il principio di proporzionalità esige che il livello di prova richiesto al contribuente non sia eccessivamente elevato, conclude la Corte Ue.

La legge Fornero non si tocca
Sarà una coincidenza, ma nello stesso giorno in cui dice sì agli studi di settore, l'Europa boccia invece la riforma delle pensioni. Già, perché a dispetto delle numerose affermazioni sul fatto che la Commissione europea non esprime valutazioni sulle singole misure della manovra, ma unicamente sugli aggregati generali dei conti, un giudizio, e nettamente negativo, c'è. E riguarda quota 100, il provvedimento cardine con cui l'esecutivo gialloverde intende procedere al superamento della riforma Fornero delle pensioni. «Un regime di prepensionamento – rileva l'Unione europea – che fissa la soglia minima per il pensionamento anticipato a 62 anni e 38 anni di contribuzione». Nel suo parere definitivo sul progetto di bilancio italiano, Bruxelles inserisce delle valutazioni negative sul provvedimento: «Le misure contenute nel documento programmatico di bilancio 2019 riveduto evidenziano un rischio di retromarcia su riforme che l'Italia aveva adottato in linea con precedenti raccomandazioni. In particolare, mentre il Consiglio ha raccomandato all'Italia di ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica al fine di liberare risorse per altre spese sociali, l'introduzione della nuova possibilità di pensionamento anticipato rappresenta un passo indietro rispetto alle precedenti riforme pensionistiche – afferma la Commissione – da cui dipende la sostenibilità a lungo termine dell'elevato debito pubblico dell'Italia. Inoltre, la maggiore flessibilità per il pensionamento anticipato potrebbe avere un impatto negativo sull'offerta di lavoro, ostacolando la crescita potenziale», aggiunge Bruxelles. Sul reddito di cittadinanza invece non vi sono nel documento giudizi chiari, l'Ue si limita a rilevare che «poiché assorbirà circa 2 miliardi di euro risorse precedentemente assegnate al piano di lotta alla povertà (Reddito di inclusione), l'impatto netto sulla spesa pubblica è pari allo 0,4 % del Pil».