Borghi: ma quale bazooka? L'operazione di Draghi potrebbe diventare un boomerang
Sessanta miliardi al mese di titoli di Stato dei 19 Paesi dell'Eurozona finiranno nelle casse della Bce da marzo fino, almeno, a settembre 2016. Ma solo il 20% dei titoli sarà soggetto a un regime di condivisione del rischio. Claudio Borghi si domanda perchè Draghi non ci spiega in che cosa consista il «rischio» che la Bce non vuole assumersi
ROMA – Il bazooka di Draghi è stato ufficialmente sparato. Sessanta miliardi al mese di titoli di Stato dei 19 Paesi dell’Eurozona finiranno nelle casse della Bce, a partire dal prossimo marzo fino a settembre 2016. O comunque, ha spiegato il governatore dell’Eurotower, «fino a quando non vedremo un deciso miglioramento nell'andamento dell' inflazione», coerente con l'obiettivo di un andamento dei prezzi vicino al 2%. E la buona notizia è che il QE potrà arrivare fino, complessivamente, a 1.140 miliardi di euro, ben il 50% in più rispetto alle attese. Btp italiani saranno il 12,3% dei titoli di Stato comprati da Francoforte. Un’operazione che, però, non convince per nulla Claudio Borghi, responsabile economico della Lega Nord.
DRAGHI SPIEGHI DA DOVE VIENE IL RISCHIO DI CUI PARLA - Nessun applauso, dunque, dal Carroccio, all’operazione annunciata. «Mi fa piacere che Draghi dica che compra 1000 miliardi di titoli, e che il rischio dell’80% di questi rimane nostro, della Banca d’Italia, per di più non notificato», ironizza Borghi. «Nessuno si sta chiedendo di quale rischio parli Draghi, e che diamine stia succedendo. Perché non diciamo chiaramente le cose?», si chiede il responsabile economico della Lega: «significa che i titoli sono a rischio default, significa che la Banca Centrale non li garantisce? Bisogna dire le cose chiaramente; si è sempre detto ‘whatever it takes’, si è sempre detto che la Grecia è stata un caso unico. Se tutto ciò è vero», prosegue, «se la Banca Centrale fa ‘whatever it takes’ per salvare l’euro, se i titoli sono buoni e sono garantiti, da dove deriva questo rischio? E soprattutto», si domanda ancora Borghi, «è normale che venga messo in carico a uno Stato un quantitativo così ingente di titoli, definiti "rischiosi" senza che questo rischio sia specificato e approvato? Di che parliamo? Se noi facciamo un back up di questi 1000 miliardi divisi per tipo di titoli e proporzione di Stato», prosegue Borghi, «viene fuori che la quota italiana garantita è pari al massimo a 20 miliardi. Ora, se questa garanzia è quello che abbiamo ottenuto pagando 60 miliardi per il Fondo Salva-Stati, con l’austerità e tutto il resto, beh, viene da ridere. Anche perché», aggiunge amaramente il responsabile economico del Carroccio, «quei 20 miliardi nemmeno li riceviamo: semplicemente, su di essi abbiamo delle garanzie». Borghi è esterrefatto dell’acclamazione che il provvedimento ha ricevuto: «Mi sembra di essere l’unico a farsi queste banali domande». Anche perché, osserva, «normalmente una Banca Centrale non considera rischiosi gli asset che compra. Altrimenti, vige la legge del commento che gli operatori cinesi fecero ai tempi in cui Tremonti era andato a propagandare l’acquisto da parte della Cina di titoli di Stato italiani quando lo spread era molto alto. In quell'occasione, i cinesi risposero, molto banalmente: «Se la vostra Banca Centrale non li vuole, perchè dovrei volerli io?»». Insomma, secondo Borghi, più di un particolare non torna: «Se la mia Banca Centrale esita a prendersi il rischio dei titoli di Stato che controlla, perché dovrebbe volerli acquistare qualcun altro?».
«RISK-SHARING» 80-20 PER NON SCONTENTARE I TEDESCHI - Eppure, il quantitative easing tradizionalmente è considerato l’arma più potente a disposizione della Bce per ridurre i tassi di interesse su mutui e prestiti, per far risalire l’inflazione e rilanciare la crescita economica. Peccato che , come ha rilevato Borghi, soltanto il 20% degli acquisti sarà soggetto a un regime di condivisione del rischio, mentre l’80% sarà caricato sulle banche centrali dei singoli Stati. «Abbiamo tenuto conto delle preoccupazioni» di alcuni Paesi, ha spiegato Draghi, per giustificare la «sbilanciata» ripartizione dei rischi. Un compromesso dovuto a Berlino, irremovibilmente contraria alla possibilità che i cittadini dei Paesi «virtuosi» – a partire appunto dai tedeschi – possano essere chiamati a subire le eventuali perdite legate a un ipotetico default di un altro Stato dell’Eurozona, che trasformerebbe i suoi titoli in carta straccia. Su tale linea, si sono posizionati infatti il tedesco Jens Weidmann, l’olandese Klaas Knot e i colleghi di Olanda, Lettonia, Lituania e Slovacchia, apertamente critici nei confronti dell’operazione. Insieme a loro, la tedesca Sabine Lautenschläger e il lussemburghese Yves Mersch, che siedono nel Comitato esecutivo ristretto che affianca il presidente.
ANCHE DA VISCO ALCUNE PERPLESSITÀ - Insomma, pare che Draghi abbia dovuto superare le resistenze di molti, per portare a casa il risultato sperato. Un risultato, oltretutto, che ha previsto una deroga per comprare i titoli di Atene, anche se solo in presenza di un programma di assistenza, cioè di un accordo con la troika che prosegua anche dopo le elezioni del 25 gennaio. Eppure, secondo molti analisti, quel «risk-sharing» nella percentuale 80-20 rischia di minare la credibilità dell’Eurotower e il successo dell’operazione. Anche il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco, nelle scorse settimane, ha espresso alcune perplessità: una su tutte, sul pericolo che «la frammentazione finanziaria dell’area euro potrebbe tornare ad ampliarsi». E cioè che, ancora una volta, si lascino indietro i Paesi più deboli.
DRAGHI «STUPITO» DAL CLAMORE INTORNO AL «RISK-SHARING» - Per fugare ogni dubbio in merito alla natura dell’operazione, il governatore della Bce ha sottolineato che «sarebbe un grande errore pensare che questo piano sia un incentivo all’espansione dei bilanci degli Stati: non è assolutamente un finanziamento del debito ed anzi è stato costruito perché si evitasse questo». Peraltro, oggetto dell’acquisto non saranno solo titoli di Stato, ma anche titoli di istituzioni e agenzie europee. Così, in giornate in cui «l’effetto-annuncio di Draghi» si è già fatto sentire, con i tassi dei titoli di Stato di Italia, Francia, Spagna e Irlanda ai minimi storici, ci si chiede se l’operazione segnerà davvero un cambio di passo per l’eurozona, o se quella non certo equilibrata ripartizione dei rischi ne minerà la credibilità e l’efficacia. Inoltre, come notava Borghi, davvero poco si sa di quei «rischi» addossati in gran parte agli Stati membri, e della reale qualità dei titoli acquistati. Draghi, sul tema, si è già mostrato risoluto, definendosi «stupito del fatto che la questione della condivisione dei rischi sia diventata la cosa più importante» nel dibattito sulla stampa alla vigilia della decisione della Bce. «Chiediamoci se sia una scelta così fondamentale per l'efficacia del piano, noi - ha detto il governatore dell’Eurotower - riteniamo di no». E l’Europa intera, pur con non poche perplessità, si augura che le sue previsioni non siano presto smentite dai fatti.
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