Regeni, l'Italia dei contratti milionari con l'Egitto (che però non bastano per renderci forti)
Il nostro Paese fa accordi milionari con Il Cairo, ma poi Al Sisi si permette di prenderci in giro, dimostrando di non temere le minacce italiane, perché sa di non avere di fronte un contendente politico di spessore come, ad esempio, Putin.
IL CAIRO - Il Presidente egiziano, generale Al Sisi, irride l’Italia. Lo fa con parole semplici e franche: «Il caso Regeni? Una montatura dei giornali». Dimostra così di non temere le minacce italiane, sa di non avere di fronte un contendente politico di spessore come, ad esempio, la Russia di Putin, con cui ha dovuto abbassare la testa solo pochi mesi fa. Certo, per il nostro governo è l’ora delle parole importanti e dei passi diplomatici. Ma in quale contesto internazionale si sviluppa la vicenda di Giulio Regeni? Sarà possibile una rappresaglia economica nei confronti dell’Egitto del presidente Al Sisi?
Gli importanti accordi economici dell'Italia con l'Egitto
Il 12 luglio dello scorso anno il vice-ministro dello Sviluppo Economico nei governi Letta e Renzi, Carlo Calenda, da marzo rappresentante permanente dell'Italia presso l'Unione europea, dichiarava: «Dall’arrivo di Al Sisi al governo, l’interscambio italiano ha avuto un enorme impulso. Piaccia o no, i processi di stabilizzazione politica rafforzano i rapporti economici». Importanti accordi per un controvalore pari ad almeno due miliardi di euro sono stati firmati, e portati in fase esecutiva, da: Eni, Edison, Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi, Ansaldo,Tecnimont, Danieli, Techint, Cementir. L’Italia è il terzo partner economico dell’Egitto, dopo Cina e Stati Uniti e prima di India ed Arabia Saudita. L’interscambio commerciale ha superato i cinque miliardi di euro, in crescita costante: l’import ha avuto un balzo negli ultimi due anni del 28%, mentre l’export rimane stabile.
Eni: 3 miliardi di euro e importanti lavori di estrazione
Eni ha piani di investimento pari a tre miliardi di euro, ed importanti lavori di perforazione-estrazione sono operativi nel deserto occidentale e nel Mediterraneo, in particolare nel maxi giacimento di gas metano di Zohr: 850 miliardi di metri cubi, tra i più grandi del mondo. Questo volume colossale farà da volano a investimenti strutturali massicci: raffinerie, porti, condotte sotterranee e sottomarine. Lavori dai budget importanti che potrebbero vedere le aziende italiane nettamente favorite. In fase avanzata era, fino a poche settimane fa, l’iter per la costruzione di sei porti commerciali a nord e a sud del nuovo canale di Suez appena raddoppiato. Intesa Sanpaolo, unico gruppo bancario occidentale presente in Egitto con la controllata Alex Bank, dopo aver rischiato la nazionalizzazione da parte dell’ex presidente Morsi, ha enormemente investito nel Paese.
Il governo italiano è forse l'unico occidentale a non aver mai criticato Al Sisi
Il governo Italiano non ha mai criticato il regime del generale golpista Al Sisi per le violazioni dei diritti umani che hanno luogo in Egitto. L’Italia è probabilmente l’unico Paese occidentale a non aver pronunciato alcuna parola in merito, in nome di una real politik che prospettava lucrosi vantaggi presenti e futuri. L’economia italiana, impaludata nonostante i proclami e le regalie una tantum del governo, necessita di ogni sbocco: questa è la dura verità che mal si addice ai muscoli flessi. Il nostro premier è stato l’unico capo di governo occidentale a partecipare al vertice economico di Sharm el Sheik del 2015, e il primo ad incontrale Al Sisi.
Su Regeni gli egiziani hanno agito come preferivano
Ora, questi pochi dati di fatto – ma se ne potrebbero citare decine – spiegano una prima parte della vicenda Regeni. Gli egiziani probabilmente si sono sentiti liberi di operare come preferivano, non temevano particolari ritorsioni da parte di un governo che si è sempre dimostrato un fedele partner economico e politico. Così oggi la voce grossa del governo italiano deve suonare vagamente irrazionale ai leader egiziani, sinceramente sorpresi da una reazione, al momento più diplomatica che economica, decisa.
Le condizioni economiche attuali dell’Egitto
Oggi l’Egitto di Al Sisi vive una condizione economico sociale molto complessa. 90 milioni di abitanti, il 27% della popolazione compreso tra i 19 e i 29 anni è disoccupato: circa 10 milioni tra uomini e donne. Il tasso di natalità è il 23,5 per mille, il triplo dell’Italia. Il 51,5% della popolazione attiva ha un reddito inferiore alla soglia di povertà. Le strutture dello stato, in primis quella fiscale, sono senza controllo. L’Egitto è uno degli stati più corrotti al mondo e su Al Sisi circola questa battuta: «E' corrotto come Mubarak, ma almeno il primo re distribuiva qualcosa». Una rappresaglia italiana sul turismo, cioè un netto taglio dell’afflusso di moneta pregiata, porterebbe un duro colpo alla società egiziana. Uno stato come l’Egitto, ovviamente, non può fallire, ma le ripercussioni sociali sono imprevedibili. Può l’Italia permettersi un’escalation così? Di più: può permetterselo il mondo?
L’Egitto nello scacchiere mediorientale
Torniamo indietro per un secondo. Il generale Al Sisi prende il potere nel 2013 al termine di un colpo di stato. Il presidente legittimo, Morsi, espressione dei Fratelli Musulmani, ha portato il Paese sull’orlo della catastrofe economica ed è riuscito ad inimicarsi buona parte della comunità internazionale. Gli Usa in Egitto fecero una scommessa molto simile a quella che hanno recentemente chiuso con l’Iran: un’apertura ai partiti islamisti. La Fratellanza, dopo poco tempo, deluse gli Stati Uniti per il processo di accentramento del potere nella figura del presidente. Come pietra tombale giunse il messaggio di Essam el Hadda, consigliere di Morsi che disse: «La democrazia non è per i musulmani». Uno strabismo curioso rendeva inaccettabile agli occhi degli americani quanto accettano da parte di Turchia, Arabia Saudita, Giordania, Yemen, Kuwait e altri alleati.
L’Egitto ha spostato il suo baricentro strategico verso le petromonarchie arabe
Così al termine di un colpo di stato nel 2013, dopo 2500 morti lasciati sul terreno, il generale Al Sisi spodesta il presidente Morsi, condannandolo a morte in un processo farsa. L’Egitto così ha spostato il suo baricentro strategico verso le petromonarchie della penisola araba che, come noto, sono tra i principali finanziatori dello stato islamico. Quest’ultimo posizionato a pochi passi dal confine libico egiziano. Cosa accadrebbe se il presidente Al Sisi, sotto i colpi di una crisi economica grave, dovesse cadere generando una situazione caotica? Paradossalmente la Fratellanza Musulmana potrebbe intervenire nuovamente contro eventuali bande fanatiche afferenti all’Isis, ma supportata da chi? Come reagirebbero all’ennesimo pericoloso caos medio orientale le moltitudini di giovani disoccupati desiderosi di scappare? Un solo numero può spiegare cosa accadrebbe: la popolazione complessiva della Siria è inferiore al numero di egiziani compresi tra i 19 e 29 anni che vivono sotto la soglia di povertà.
L’esempio di Putin
Pensare che l’Italia aggredisca autonomamente economicamente l’Egitto è improbabile. Il conflitto diplomatico in corso dovrebbe quindi spostarsi su un piano europeo: auspicabile sarebbe un impegno maggiore della Mogherini. La via da seguire potrebbe essere quella tracciata dalla Russia: nell’era dell’eterna novità, pochi ricordano lo scontro diplomatico fra Al Sisi e Putin a seguito dell’abbattimento nei cieli del mar Rosso di un Antonov con oltre 220 cittadini russi. Sorprendentemente a spiegare il meccanismo è Ugo Tramballi del Sole 24 ore: «Non ci furono interruzioni diplomatiche o economiche, i russi presero misure proporzionate ala caso. Anzi, in qualche modo i russi approfittarono della situazione per rendersi più necessari, perfezionando gli accordi sulle centrale nucleare che devono costruire per gli egiziani, e vendendo altre armi all’apparato militare dell’ex generale Al Sisi che sta famelicamente ampliando i suoi arsenali». Ovviamente, come sottolinea anche Tramballi, l’Italia non ha il peso politico, e militare, della Russia. Né può vendere centrali nucleari e caccia Sukhoy. Ma è sempre il terzo partner economico dell’Egitto. E quindi sarà necessario insistere su leve economiche dolorose per gli egiziani ma non letali, tenendo conto che in ogni caso non sarà possibile giungere alla «verità», ma al massimo della verità possibile.
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