25 aprile 2024
Aggiornato 08:30
A una settimana dall'accordo

Ecco come il «patto con il diavolo» tra Ue e Turchia sta già miseramente fallendo

A una settimana dalla siglatura dell'intesa sui migranti tra Europa e Turchia, i primi risultati non sono confortanti. Gli sbarchi proseguono, in Grecia manca il personale necessario per gestire rimpatri e identificazioni. E intanto, Bruxelles ha ceduto al ricatto peggiore

ATENE – E' trascorsa una settimana da quando il chiacchieratissimo accordo con la Turchia sui migranti è andato in porto, e già si vedono i primi risultati. Anzi, sarebbe meglio dire i primi non risultati.  Perché, nonostante la costosissima stretta di mano tra il presidente della Commissione europea Tusk e il premier turco Davutoglu, il giorno successivo alla siglatura dell’intesa sono stati ben 1.662 i migranti giunti in Grecia – in particolare a Chios – dalla Turchia, secondo i dati dell’organismo di coordinamento ellenico della politica migratoria (Somp). In tre giorni ne sono sbarcati più di 3000. Il patto con Erdogan prevederebbe il ritorno in Turchia di tutti i migranti giunti illegalmente in Europa a partire dal 20 marzo, compresi i richiedenti asilo siriani. La procedura dovrebbe essere quella di condurre i migranti negli hotspot diffusi in cinque isole dell’Egeo: chi di loro presenterà richiesta d’asilo, rimarrà in attesa che esperti greci ed europei la esaminino. Chi verrà riconosciuto come «illegale», dovrebbe essere immediatamente rispedito indietro alla volta della Turchia.

Qualcosa non sta già funzionando
Peccato che qualcosa, nel complicato meccanismo appena descritto, si sia già inceppato il primo giorno in cui l’accordo era in vigore. «Come pretende l'Europa che la Grecia, in un giorno, attui il piano-migranti di rimpatrio se qui mancano traduttori, avvocati, poliziotti?», è stato il grido di protesta captato domenica scorsa dai media internazionali a Lesbo, a una manciata di miglia dalla costa turca. La stessa isola dove proprio il 20 marzo, giornata di «inaugurazione» dell’intesa, sono stati trovati morti due migranti su un barcone che ne trasportava decine. E’ forse troppo presto per giudicare, ma l’«effetto deterrente» su cui Bruxelles sperava di poter contare non si sta verificando. Per l’Europa, infatti, i migranti, una volta saputo che raggiunta la Grecia sarebbero stati rispediti indietro, avrebbero smesso di partire. Peccato che, a poche ore dall’intesa, questo scenario non si sta verificando. Nonostante le pacche sulle spalle tra Tusk e Davutoglu, gli sbarchi non si fermano, e lo sfortunato Paese del Sud Europa, quest’estate già nel mirino dell’austerity, è nell’occhio del ciclone. Sempre lo scorso 20 marzo, nel porto del Pireo sono arrivati altri 446 migranti, destinati alla struttura di Larissa. Secondo la Guardia Costiera nel Pireo, nella sola giornata di domenica c'erano 4.458 migranti stivati in quattro gate passeggeri e in un hangar, ed è stato stimato che in Grecia serviranno 4.000 professionisti per gestire i rimpatri e organizzare il sistema di drenaggio dei nuovi arrivi. Bruxelles – verrebbe da dire –, se ci sei, batti un colpo.

I tanti dubbi sull’efficacia dell’accordo
D’altra parte, che l’intesa avrebbe faticato a funzionare era ampiamente prevedibile. Prima di tutto perché i mesi scorsi hanno dimostrato che la gente che fugge dalla guerra e dal terrorismo, oltre che dalla fame e dalla disperazione, difficilmente si fa fermare da muri, fisici o «virtuali» che siano. In secondo luogo, l’ambiguità della Turchia e del suo presidente aggiunge dubbi ai dubbi: Ankara sarà davvero affidabile nel rispetto dei patti? Anche perché il grande Paese mediorientale ha già accolto più di 2 milioni di rifugiati siriani nel suo territorio, peraltro – è ampiamente documentato – in condizioni lesive dei più basilari diritti umani. Difficile pensare che il pur salato contributo concesso dall’Ue possa apportare un cambiamento decisivo e sistematico. Senza contare, poi, che il meccanismo concordato fatto di «rimpatri» e «scambi» dei migranti illegali giunti in Europa con i rifugiati siriani in Turchia, al di là delle aberranti implicazioni morali, risulta anche particolarmente macchinoso. La stessa gestione dei rimpatri è tutt’altro che semplice e immediata, e il rischio concreto è che migliaia di migranti finiranno per rimanere in Grecia, detenuti negli hotspot o misteriosamente «scomparsi».

Il compromesso più insopportabile
E poi c’è l’aspetto più controverso di tutti. Perché per ogni migrante giunto illegalmente in Grecia, la Ue ne accoglierà dalla Turchia un altro, siriano, che avrà fatto regolare domanda. Un meccanismo fondato su una pericolosissima discriminazione razziale e su un’enorme ipocrisia di fondo: da un lato non si capisce, infatti, perché un iracheno che fugge dall’Isis e dalla guerra non dovrebbe avere una simile opportunità; dall’altro lato, non è certo colpa dei migranti se, per giungere in Europa, sono costretti a percorrere la strada dell’illegalità. Attualmente, infatti, quella di affidarsi ai trafficanti è, nei fatti, l’unica via percorribile. Come può l’Ue voler contrastare l’immigrazione «irregolare» – respingendo sistematicamente chi arriva in modo «illegale» – senza però consentire una via di arrivo alternativa, legale e sicura nel Vecchio Continente? Se solo fosse permesso di mettersi in salvo dalla guerra seguendo metodi regolari e sistematici, i migranti non rischierebbero di certo la vita affidandosi a carrette del mare e a scafisti senza scrupoli.

Il compromesso insopportabile
E poi rimane la questione di fondo. E’ vero che l’Europa potrà rivendicare di non aver accolto la richiesta di Ankara di accelerare da subito le procedure di ingresso nell’Ue e di aver almeno posticipato l’ulteriore finanziamento da 3 miliardi di euro che la Turchia richiedeva nell’immediato. Ma la realtà è che l’Ue è scesa comunque al compromesso più bieco e insopportabile: quello di stringere un patto con chi ha di fatto fomentato il conflitto in Siria, alimentando sporchi traffici con i jihadisti dell’Isis e contrastando le forze curde, cioè i principali oppositori sul terreno dei terroristi. In pratica, anziché accogliere le vittime del terrore, preferiamo fare un patto col diavolo. Un patto che ha ufficialmente sancito la fine dell’Europa e dei valori su cui essa si è un tempo fondata.