L'Istat lancia l'allarme: stipendi mai così bassi dal 1982. Le buste paga sono bloccate
I dati allarmanti dell'Istat parlano chiaro: la retribuzione oraria media è cresciuta solo dello 0,7%. Aumenta anche l'attesa media per il rinnovo del contratto di lavoro, che supera i due anni. Di chi è la colpa: del settore pubblico o di quello privato?
ROMA – Gli stipendi più bassi di sempre. I dati Istat parlano chiaro: l'aumento tendenziale delle retribuzioni contrattuali orarie di aprile è il più basso registrato in Italia dal 1982. Abbiamo fatto peggio perfino del valore minimo precedente, che era stato toccato a gennaio scorso.
I dati allarmanti dell'Istat
I dati dell'Istat relativi all'aumento tendenziale delle retribuzioni orarie nazionali del mese di aprile confermano la tendenza in corso, anzi la peggiorano. E questo la dice lunga sulla crisi economica che sta (ancora) attraversando il paese. Il dato rimane invariato rispetto al mese precedente e aumenta dello 0,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
La retribuzione oraria media è cresciuta solo dello 0,7%
Nei primi quattro mesi del 2016, la retribuzione oraria media è cresciuta solo dello 0,7%. Le variazioni, nello specifico, sono così ripartite: le retribuzioni contrattuali orarie dei dipendenti del settore privato registrano un incremento tendenziale dello 0,8%, mentre la variazione è nulla per i dipendenti della pubblica amministrazione a causa del blocco della contrattazione.
Aumenta anche l'attesa per il rinnovo del contratto
In controtendenza, invece, i settori tessile, abbigliamento e lavorazione pelli, energia elettrica e gas: registrano gli incrementi più alti e sfiorano il 2%. Peggiora ulteriormente anche il dato nazionale relativo all'attesa media per il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro. Si tratta del periodo più lungo mai rilevato dall'Istat dall'inizio di queste serie storiche, nel lontano 2005. L'attesa media raggiunge i 24,3 mesi: cioè oltre due anni.
Di chi è la colpa: del settore pubblico o di quello privato?
Come riporta l'Agi, secondo il Segretario dell'Unione Nazionale dei Consumatori, Massimiliano Dona, non ci sono dubbi sul fatto che si tratti di un record fortemente negativo, ma le responsabilità non sarebbero da ricercare nel settore privato, bensì nel pubblico. «Nel settore privato l'aumento tendenziale, per quanto basso, +1%, e' comunque superiore all'aumento del costo della vita, considerato che a marzo l'Italia era in deflazione. La responsabilita' e' invece del settore pubblico, dove, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale sia stata ormai depositata nel lontano luglio 2015, la contrattazione e' ancora bloccata» ha sottolineato il Segretario dell'Unione Nazionale Consumatori.
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