Confindustria: «Il 2015 sarà l'anno della svolta: usciremo dalla crisi»
Buone notizie dal Centro studi Confindustria. Il 2015 potrebbe essere l'anno spartiacque della storia economica europea. Arrivano, finalmente, dati positivi sul Pil e sulla crescita: la produzione industriale è cresciuta dello 0,3% nel solo mese di gennaio. Ma per consolidare la ripresa serve ben altro: l'Europa ha bisogno di “fiducia”.
ROMA - Buone notizie dal Centro studi Confindustria. Il 2015 potrebbe essere l'anno della svolta. Arrivano, finalmente, dati positivi sul Pil e sulla crescita: la produzione industriale è cresciuta dello 0,3% nel solo mese di gennaio. Ma per consolidare la ripresa serve ben altro: l'Europa ha bisogno di «fiducia».
NEL 2015 L'ECONOMIA ITALIANA RIPRENDERÀ A CRESCERE - Sulla base dei dati raccolti, e di ipotesi prudenti ma rassicuranti, il Centro studi Confindustria regala finalmente una buona notizia: la ripresa sembra essere alle porte. Il 2015 potrebbe diventare l'anno della svolta: la crisi e la recessione, forse, ce le stiamo lasciando alle spalle. Per l'anno in corso è prevista una crescita del 2,1% del Pil, e il 2016 si prospetta ancor di più all'insegna del miglioramento: ci avvicineremo al 2,5%. Nel solo mese di gennaio, la produzione industriale italiana è cresciuta dello 0,3% e non è un dato da poco. A cosa si deve questa virata positiva? Potrebbe aver giocato un ruolo significativo il crollo del prezzo del petrolio, che ha reso più accessibili le risorse energetiche e dato nuovo slancio agli investimenti. Anche il quantitative easing, appena messo in campo dalla BCE, ha avuto un effetto calmierante sui mercati, e dato nuova speranza alle aspettative degli operatori. In effetti, il CsC aveva già preannunciato che il bazooka di Draghi si sarebbe tradotto, in Italia, in un aumento del Pil pari all'1,8% nel giro di due anni (0,8% nel solo 2015 e 1% nel 2016), ma le prospettive sembrano perfino più rosee del previsto.
LA DISOCCUPAZIONE SI ALLONTANA DAL SUO MASSIMO STORICO - Dobbiamo ancora attendere, naturalmente, per cantare vittoria. Anche perché i dati sulla disoccupazione, invece, non sono ancora del tutto rassicuranti. Il bimestre autunnale ha visto calare ulteriormente l'occupazione nazionale: -0,4%. Sul dato potrebbe aver svolto un ruolo incisivo l'attesa per le riforme nel mercato del lavoro e il nodo del Jobs Act. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, aveva infatti preannunciato grandi sgravi fiscali per le nuove assunzioni del 2015: perciò molti imprenditori potrebbero aver deciso di pazientare e rimandarle all'anno nuovo per incrementare i loro dipendenti. I frutti si cominceranno a vedere, presumibilmente, a partire dalla primavera. Un'altra buona notizia, però, c'è: il tasso di disoccupazione ha raggiunto nello scorso novembre il massimo storico nazionale (pari al 13,4%), poi ha iniziato a diminuire.
PER VINCERE LA CRISI, LA PAROLA CHIAVE E': FIDUCIA - Vale la pena, però, accanto all'ottimismo per le buone novelle, affiancare anche un po' di pragmatismo e senso di realtà. Se la strada è quella giusta, è anche vero che bisogna continuare a procedere in questa direzione ed è necessario uno sforzo ulteriore -perfino maggiore - per consolidare un salto di qualità. L'Europa e l'Italia hanno bisogno di riforme. La governance europea deve cambiare passo. Il bazooka di Draghi ha dato il «La», ma da solo sarebbe inefficace e insufficiente: non solo per combattere la deflazione, ma soprattutto per uscire dalla spirale negativa della crisi economica internazionale che attanaglia il continente dal 2008. Serve ben altro: le riforme strutturali? Senz'altro. L'Europa intera ha bisogno di riformare il mercato del lavoro. E c'é bisogno, finalmente, di una politica fiscale comunitaria. Ma, prima ancora di tutto ciò, c'è bisogno di una vera politica comunitaria. Il divario tra le due G, la rigorosa Germania e l'anarchica Grecia, non è solo il sintomo di un'Europa che (non) procede a due velocità, ma la prova tangibile e terribile dell'assenza di una vera governace europea. Continua ad incombere il fantasma della dissoluzione, con il quale Mario Draghi, Angela Merkel e lo stesso Alexis Tsipras non possono non fare i conti. La parola chiave dell'economia, tanto cara a Keynes, è «fiducia»: senza questa, l'economia reale rallenta fino a fermarsi e le borse dei mercati rischiano il tracollo. C'é da augurarsi allora, che l'Europa riscopra innanzitutto la fiducia: attraverso il dialogo, l'incontro, la riscoperta dei valori fondanti che portarono alla nascita dell'Ue, e una vera governance comunitaria che abbia a cuore gli interessi del suo popolo, più che quelli delle lobby di potere. Altrimenti i dati del Centro studi Confindustria potrebbero essere ricordati come l'illusione di un miraggio nel deserto.
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