29 marzo 2024
Aggiornato 07:30
L'intervista del Diario

Fontana, Lega: «Da Le Pen a Trump passando per Putin. Così abbiamo i migliori amici al mondo per governare»

Fontana, europarlamentare e vicesegretario federale della Lega Nord, ci spiega cosa accomuna la Lega a Trump e Marine Le Pen e cosa accadrà in Europa e dentro al centrodestra

ROMA - Per prima cosa ha lavorato sodo per permettere l’abbraccio «impossibile» della Lega Nord con Marine Le Pen e il Front National ma adesso ha vinto la scommessa, in solitaria, su cui nessuno fino a pochi giorni fa avrebbe mai puntato, figuriamoci investirci politicamente: quella sul tycoon Donald Trump. Lorenzo Fontana, una laurea in Scienze Politiche e una seconda in Storia in arrivo, trentasei anni, veronese, europarlamentare e vicesegretario federale della Lega Nord, si diletta a selezionare in giro per il mondo partner vincenti per Matteo Salvini. «A dire il vero sono stato il selezionatore di segretari vincenti anche per la Lega Nord…». Inizia così il nostro incontro, proprio ora che si declina il «trumpismo» come fenomeno parallelo alla cavalcata dei movimenti identitari in Europa e si torna a parlare – in chiave nazionale – di centrodestra rottamato con la «foto di Firenze» e del «terzo campanello che suonerà per l’Ue il 4 dicembre tra Vienna e Roma…».

Fontana, in che senso selezionatore di segretari del Carroccio?
(Ride) Lo dissi a La Zanzara nel gennaio 2012, c’era ancora Umberto Bossi segretario. Ricordiamoci che era un periodo difficile per la Lega: il governo era caduto, c’erano ancora in circolazione i vari «cerchi magici»…. Bene, mentre tutti parlavano di Roberto Maroni, come nuovo segretario, io dissi chiaramente già allora che vedevo bene Matteo Salvini. Tant’è che con alcuni amici feci il cosiddetto «patto di Monfalcone», sempre nel 2012, indicando con un brindisi Salvini come futuro segretario…

A quanto pare possiede interessanti capacità divinatorie. Ci svela il suo segreto?
Quello che conta è intravedere nelle persone le capacità ma anche fare in modo di capire chi può effettivamente ricoprire un certo ruolo, chi è predisposto per essere vincente. Questo lo si capisce solo se non si perde mai il contatto con la realtà. Ecco, quello che vedo spesso qui all’interno del Parlamento europeo da parte dei grandi «statisti», tra virgolette ovviamente, dell’«impero Ue» è che vivono in un mondo che non è quello reale. Se uno invece è cresciuto in strada, nel mondo vero, e non perde quel tipo di contatto, risulta più semplice poi riuscire a capire chi sono quei leader capaci di donare speranza perché capaci di interpretare una determinata visione del mondo.

Caratteristiche che lei ha riconosciuto, da sherpa della Lega, prima in Marine Le Pen e poi in Donald Trump...
Sì. Marine Le Pen quando ancora il suo partito si stava riprendendo da una precedente debacle. Ascoltavo i suoi discorsi nel Parlamento europeo e avevo visto subito che era dotata di un grande carisma. Quando poi divenne presidente del Front National capì che quella deputata europea poteva avere un gran futuro, quindi iniziai a frequentare il suo entourage, poi lei stessa e infine la presentai a Salvini prima ancora che lui diventasse segretario della Lega. Stesso discorso per Donald Trump. L’ho seguito fin da quando è sceso in campo per le primarie: già un anno e mezzo fa ai primi discorsi che fece ricordo che rimasi colpito da ciò che diceva. Poco dopo a Ponte di Legno dissi a Salvini: guarda che questo è un candidato che va avanti, e per le cose che dice potrebbe essere benissimo un nostro alleato.

Che cosa l’ha colpita del programma di Trump?
Al di là delle assonanze sull’immigrazione e sull’Islam, la cosa fondamentale è stata l’agenda economica. Lui faceva un discorso fortemente critico verso le multinazionali: diceva che quando ci sono delle aziende che hanno la sede legale in Irlanda, per pagare meno tasse, che voglio portare poi la produzione in Cina o in Messico, per pagare meno il costo del lavoro, e poi intendono fare entrare i prodotti negli Stati Uniti facendo concorrenza sleale alle nostre imprese, avrebbe messo «una tassa del 35% su ogni prodotto che questa azienda fa». Questo è un discorso rivoluzionario. Perché così si distrugge un modello economico, la globalizzazione, che è la causa dell’immigrazione. Un sistema che ha dato vita a un processo che non ci piace per nulla.

Lei è stato l’unico politico italiano ospite nella Trump Tower la notte delle elezioni. Non ci credeva nessuno…
Esatto. Non ci credeva nessuno. Anzi, tanti del cosiddetto centrodestra, o che fu centrodestra, non lo volevano proprio. Tifavano per Hillary Clinton, anche qui al Parlamento europeo. Per me invece è stata un’emozione. Ho sentito che proprio lì si stava scrivendo la storia. Perché se il neopresidente riuscirà a fare quello che ha detto cambia davvero il mondo. Anzi, da questi primi giorni il mondo sta già cambiando. A me resterà comunque la soddisfazione di aver anticipato i tempi

A proposito, Grillo prova a intestarsi l’esclusiva su Trump...
Vedo troppa confusione tra i 5 Stelle. Di sicuro non ho mai sentito uno di loro a favore di Trump. Grillo mantiene questa posizione ambigua a parole, per avere il massimo numero di voti possibile. Poi nella realtà li vedo spesso molto spostati a sinistra, in stile Tsipras o Podemos, altro che Trump o Le Pen. Non a caso loro dicono: noi ci siamo per fermare quella deriva lì. Ma non è una deriva: la nostra è una visione del mondo. Ragion per cui se non stanno con noi stanno dall’altra parte, dalla parte dell’omologazione. Dico di più: i 5 Stelle sono la quintessenza dell’omologazione, l’accelerazione verso quel momento. Loro correrebbero in quella direzione più veloci dell’Ue stessa.

Lei ha detto: «La vittoria di Trump è una reazione alla globalizzazione. È una vittoria dell’identità contro l’omologazione». Trump, però, non sembra esattamente un uomo del popolo…
No, certamente. Attenzione però: essere identitari non è una questione di classe sociale. All’interno di un popolo ci sono i ricchi e i meno ricchi così come esistono la classe media e la piccola borghesia. Trump ha dato corpo a una serie di idee, quelle contro il mondo globalizzato, di chi rivendica di essere americano e con ciò che negli Stati Uniti bisogna far lavorare prima gli statunitensi. Il fatto che le aziende debbano rimanere negli Stati Uniti e gli accordi commerciali non debbano ostacolare chi produce. Infatti lui è contro il Ttip. La sua non è una questione di ricchezza o di povertà, è una questione che riguarda le regole del gioco.

Insomma, non tutte le élite vengono per nuocere…
Dipende sempre da quello che fanno e dicono. In Russia, ad esempio, ci sono tanti soggetti attorno a Putin che hanno sicuramente grosse aziende e posseggono grossi capitali ma sono identitari. La ricchezza è altro dall’essere mondialisti. L’élite che governa l’Unione europea, invece, è chiaro che è un’élite che non ama l’Europa. Chi vuole che non esistano più in Europa le specificità è qualcuno che odia i popoli europei.

Torniamo in Italia. La piazza di Firenze è stata la prima prova di destra trumpista?
Ma no! la nostra era una piazza identitaria. Lì c’è stata una grande partecipazione, da Nord a Sud, di un popolo che rivendica un cambiamento serio rispetto a ciò che c’è adesso, rispetto a Renzi e a questa Ue, rispetto al fatto che non vogliono essere schiacciati dalla globalizzazione o dalle aziende che delocalizzano. Certo, da questa piazza cercheremo di trarre il nostro Trump….

Il che significa che il centrodestra è frantumato ormai...
Il centrodestra è frantumato da tanti anni ormai. Dal 2001 sicuramente, se non addirittura prima. Non fosse altro perché la storia è andata in un’altra direzione. Attualmente cosa abbiamo? Un centrodestra, anche a livello europeo, che governa con il centrosinistra. È un discorso che ormai facciamo da anni: non è possibile che uno che governa con il Pd e con i socialisti a Roma poi pensi di governare con noi. Non tanto per antipatia, ma perché appartengono a una squadra diversa.

Giovanni Toti a quanto si vede preferisce stare in squadra con voi…
Lì dipenderà da quello che accadrà in Forza Italia. Sono convinto che all’interno di quel partito ci sia una parte che ha capito quale battaglia stiamo facendo e intende farla insieme a noi. E un’altra parte alla quale sta bene governare con Renzi in Italia, con il Partito socialista europeo a Bruxelles. Ci sarà una scelta di campo anche all’interno di Forza Italia, è evidente che una parte verrà con noi. Del resto è già avvenuto con Raffaele Fitto: è uscito da Forza Italia, è andato via dal Ppe e oggi, con i suoi Conservatori e riformisti, è vicino alle nostre posizioni. Insomma, per coerenza non si può in Europa governare col Pd e poi in Italia far finta di essere all’opposizione.

Stefano Parisi non perde occasione di attaccarvi. E si è fatto un partito con l’obiettivo di scalare la coalizione.
Lui è parte del fronte della globalizzazione. Di chi vuole il multiculturalismo, la grande finanzia. Lui, appunto, «è quella roba lì». Noi siamo diversi. Non so se lui abbia chiaro il quadro chiaro: lui rappresenta quella parte di Forza Italia che andrà con Renzi. Arrivederci.

Ci sarà o no quest’effetto Trump sul referendum?
Sicuramente ha dato una bella botta. Perché anche questa consultazione è percepita come una tappa di chi si oppone a Renzi e a questo modello europeo. La sua vittoria, poi, scoraggia chi sostiene, come abbiamo visto con la Brexit, che il giorno dopo se vincono i populisti è la catastrofe. Insomma, darà di certo un’iniezione di coraggio agli italiani per votare «no». Anche perché abbiamo visto che il mondo va avanti. Meglio.

Il mondo è più sicuro con The Donald alla Casa Bianca?
Spero che non sia troppo tardi. Di sicuro abbiamo evitato problemi seri con la Russia, con Hillary Clinton avevo il sincero timore di un nuovo conflitto con la Russia. Questa è una cosa che pian piano dovrebbe andare a cadere. E dall’altra parte, tenendo conto di quello che ha fatto Obama in questi anni, e di quanto – vediamo la guerra in Siria e in Libia – quanto queste cose abbiano pesato sull’Europa, peggio di così non può andare. Insomma, già il fatto che si ricominci un dialogo con la Russia, e che con ciò possano venire a cadere le sanzioni e le minacce di guerra, è un passo avanti. Anche che sulla Siria Trump dica che il primo nemico è l’Is e non il governo di Assad, mi aiuta a pensare che il peggio sia stato evitato.

La Lega Nord è l’unico movimento che può vantare un’intesa e un’affinità sia con gli Usa sia con la Russia. Che cosa significa questo?
Intanto, che abbiamo anticipato i tempi. E significa che quando tanti organi di stampa, e non solo, ci insultano dovrebbero tenere conto che noi abbiamo anticipato i tempi su tutti i dossier: Russia, States e questione europea. E significa anche che possiamo e dobbiamo giocarci le nostre possibilità per diventare il partito che può candidarsi al governo del Paese. Nel momento in cui si hanno delle relazioni internazionali così forti e che hanno preceduto tutti gli altri, significa anche che c’è un’affinità di ideali con i grandi del mondo che può aiutarci ad andare a governare.

Farete questa «Lega Italia»?
Lo chiamerei movimento identitario, polo delle identità. Si farà e penso a una federazione: si sa, l’Italia è bella perché tanto diversa.

Il 4 dicembre tra Vienna, con la corsa Hofer e del Fpö per la presidente dell’Austra, e Roma, con il referendum, che cosa si augura che accada?
È la terza campana che suonerà per l’Ue. Dopo Brexit e Trump, vincere in Austria e battere il governo Renzi sarà l’avviso di sfratto per le élite europee.