28 marzo 2024
Aggiornato 22:30
Votata la mozione della maggioranza

Italicum, la linea (astuta) di Renzi passa e spacca il Pd

Alla fine Matteo Renzi ha avuto la meglio: la mozione della maggioranza sull'Italicum è stata l'unica a passare, spaccando il Pd. Ma la sua 'astuta' strategia ha funzionato

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Foto: Shutterstock

ROMA - Alla fine sulla modifica dell'Italicum in Parlamento passa la linea di Matteo Renzi, viene bocciata la mozione di Sinistra italiana che chiedeva di buttare l'Italicum in un cestino e passa invece il documento di maggioranza che si limita a mettere nero su bianco le parole pronunciate dal premier alla Festa dell'Unità di Modena, senza prendere veri impegni né tantomeno abbozzare una possibile nuova legge elettorale: pronti a discutere, tocca agli altri fare le proposte. La dice lunga il commento di un bersaniano: «Diciamo che quelli di Sinistra italiana (che hanno presentato la mozione da cui è nato il dibattio in aula, ndr) non sono stati lungimiranti...».

La mozione della maggioranza
La mozione della maggioranza impegna «ad avviare, nelle sedi competenti, una discussione» sulla legge elettorale «al fine di consentire ai diversi gruppi parlamentari di esplicitare le proprie eventuali proposte di modifica della legge elettorale attualmente vigente e valutare la possibile convergenza sulle suddette proposte». Discussione che, di fatto, è già rinviata a dopo il referendum, visto che il centrodestra ha presentato un proprio documento per dire che prima del voto non se ne parla nemmeno. Di fatto, proprio quello che voleva Renzi per sterilizzare l'argomento-chiave della minoranza l'argomento-chiave a sostegno del no al referendum, ovvero l'idea che non si possa votare sì alla riforma perché con la legge elettorale vigente si rischierebbe un sistema troppo sbilanciato sul governo.

I travagli della minoranza
Non a caso, la minoranza ha faticato a trovare una posizione comune e anche se alla fine ci si è attestati sulla scelta di non votare la mozione della maggioranza la discussione è stata articolata perché più d'uno sosteneva che non si poteva ignorare comunque la disponibilità al confronto messa nero su bianco. Non si poteva votare no, perché comunque la mozione segna una disponibilità a ragionare di modifiche, ma non si può dire sì perché la stessa mozione dice troppo poco.

La trattativa
Una trattativa che è corsa soprattutto lungo l'asse Roberto Speranza-Gianni Cuperlo, con il secondo molto più scettico rispetto alla linea dura. Alla fine, del resto, proprio Cuperlo, pur non votando la mozione come i bersaniani, ha commentato: «La mozione la considero un atto di apertura, ma non indica tempi, modalità e forme del percorso». Ben diverso da Speranza che ha parlato di «mozione all'acqua di rose» e da Pier Luigi Bersani, secondo il quale «è un modo per non fare nulla, è polenta... E' solo tattica».

La guerra dei numeri
Sui numeri è partita la guerra: i deputati Pd che non hanno partecipato al voto stati 42, ma tra questi ci sono anche esponenti come Yoram Gutgeld, renzianissimo, e Sandra Zampa, assente per motivi di salute. I renziani stimano in 24 le assenze «politiche», i bersaniani contestano il dato e parlano di circa 35 voti mancati per dissenso. Di sicuro, però, anche altre aree della minoranza hanno votato a favore: Rosy Bindi era assente per missione, ma Margherita Miotto e Franco Monaco hanno votato a favore della mozione, come anche il lettiano Marco Meloni.

La strategia di Renzi
Numeri a parte, è il dato politico che oggi è a favore di Renzi: il dibattito sulla legge elettorale è servito a lui a mostrarsi genericamente disponibile a un confronto, lasciando al centrodestra il compito di dire «ora no» e spingendo M5s a proporre un sistema tutto proporzionale che il Pd può facilmente respingere come irricevibile. Formalmente il Pd dirà che resta disponibile a discutere, come spiega Lorenzo Guerini, «Noi cercheremo di verificare se è possibile ragionare intorno alle proposte presentate, c'è quella dei bersaniani, per esempio... Vediamo se in commissione si può aprire un confronto. Certo, non si può ragionare sulla proposta M5s, che non è una correzione dell'Italicum - alla quale siamo disponibili - ma un sistema completamente diverso. Noi ci confrontiamo, ma abbiamo i nostri paletti su governabilità e stabilità».

Rinvio a dopo il referendum?
Di fatto, dunque, è chiaro a tutti che senza novità dal centrodestra tutto è rinviato a dopo il referendum. I bersaniani su questo punto hanno una certezza: «Se Renzi decide di cambiare l'Italicum lo fa con i suoi amici di Fi e con Verdini...». E un renziano doc qualche giorno fa azzardava una battuta: «tutto quello che vedete sulla legge elettorale è un lungo preliminare di un rapporto che non verrà mai consumato...». Renzi, per ora, ha ottenuto quello che voleva: ora le carte sono sul tavolo, è il ragionamento del premier, e nessuno può rimproverarci di non aver fatto niente. Il resto, si vedrà dopo il referendum.

(Fonte Askanews)