Renzi-Juncker, ma quale pace. Bruxelles ci ha bocciati un'altra volta
Proprio mentre Matteo Renzi e Jean Claude Juncker sbandieravano sorrisi e battute al miele a favore delle telecamere, l'esecutivo Ue pubblicava un report ancora piuttosto critico verso le performance di Roma. Che per Bruxelles rimane «fonte di potenziali ricadute per gli altri Stati membri»
BRUXELLES - «E vissero felici e contenti». L'epilogo lieto è stato scritto pochi giorni fa, dopo che mesi di scontri, frecciate e battute amare avevano fatto del presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e del premier Matteo Renzi i protagonisti di un braccio di ferro seguitissimo dalla stampa italiana e non solo. Al centro delle polemiche, tra le altre cose, le richieste di maggiore flessibilità da parte di Roma, nonché le tensioni europee sulla crisi migratoria. Eppure, dopo le «bordate» del Matteo fiorentino e le stoccate dell'algido Juncker, sul rapporto tra i due sembra essere tornato il sereno. Crisi rientrata, dunque?
Renzi e Juncker: che armonia...
A giudicare dalle battute al miele riprese in pompa magna dalla stampa mainstream, parrebbe proprio di sì. «Sto bene a Bruxelles ma meglio a Roma», ha dichiarato Juncker, soavemente blandendo il premier italiano. Che, da parte sua, ha ricordato la buona condotta del Belpaese in merito alle procedure di infrazione aperte nei suoi confronti («siamo passati da 119 procedure di infrazione quando siamo andati al governo alle 83 di oggi»). Un curriculum di fronte al quale il lussemburghese non ha potuto fare a meno di sciorinare lodi, anche perché, poi, l'Italia ha avuto una «condotta esemplare» nella gestione della crisi dei migranti, e dovrebbe fare «da modello» per altri Paesi europei molto più «esitanti». Addirittura sull'annosa questione dei conti pubblici, a parole, sembra tutto a posto. L'Ue «non è un raggruppamento di tecnocrati e burocrati a favore di un’austerità sciocca», ha assicurato Juncker: anzi, è fatta di molte persone che «sono stati primi ministri» e stanno cercando il modo per garantire una «crescita più duratura». «La nuova commissione ha introdotto il 13 febbraio 2015 la flessibilità con una comunicazione ufficiale: noi la condividiamo. Hic manebimus optime», gli ha fatto eco Renzi. «Useremo la flessibilità che ci sarà consentita. In più c’è un piano che punta a attivare investimenti per 315 miliardi con una leva importante, e l’Italia è il secondo Paese che ne usufruisce». Anzi, Renzi ha voluto fugare ogni minimo dubbio: «Condividiamo la linea della Commissione sulla flessibilità, vorrei fosse scolpito sulla pietra», perché «il debito va ridotto per dare un messaggio di rispetto delle regole e per i nostri figli».
E poi spunta il country report
Caso chiuso, insomma? Non proprio. Perché proprio mentre Renzi e Jucker recitavano a favore delle telecamere la parte dei migliori amici, l'esecutivo Ue pubblicava sul proprio sito il «country report» dedicato al Belpaese. Dove i complimenti sciorinati dal presidente della Commissione sono del tutto assenti. L'Italia, anzi, è definita «fonte di potenziali ricadute per gli altri Stati membri», visto che «l’elevato rapporto debito pubblico/Pil, unito al deterioramento della competitività e della crescita della produttività, continua ad essere una fonte di vulnerabilità per l’economia». Non è finita: il report critica la scelta di abolire la tassa sulla prima casa, solleva forti dubbi sui provvedimenti del governo in materia fiscale in termini di conseguenze sulla lotta all'evasione, sottolinea come la spesa pubblica - contrariamente a quello che dice Renzi - sia in «costante crescita», «sbilanciata» a favore degli anziani e gravata da costi del servizio del debito «molto maggiori» rispetto al resto della zona euro. In più, Bruxelles ha espresso preoccupazione per la continua fuga dei cervelli, che «può compromettere le prospettive di crescita economica e anche le finanze pubbliche».
Il bastone, la carota e il Jobs Act
A giudicare da questo documento ufficiale e non dai sorrisi catturati dai fotografi, insomma, il rapporto tra Roma e Bruxelles rimane decisamente scricchiolante. E soprattutto, le varie esultanze del premier Renzi per i dati sulla crescita e sul lavoro non sembrano aver impressionato l'Europa. Che però, per ovvie esigenze di comunicazione e per mantenere il necessario consenso sociale dei governi «obbedienti», oltre al «bastone» ha dovuto porgere, all'allieva maldestra, anche la «carota». Così, oltre al lieto siparietto tra Renzi e Juncker, qualche valutazione positiva l'ha strappata il Jobs Act, grazie al tenace impegno del premier a sbandierare le cifre più ottimistiche, rigorosamente coprendo quelle più pessimistiche. Perché la riforma del lavoro di Renzi una cosa l'ha fatta, ed è esattamente quello che più interessava all'Europa: ha svuotato gli istituti che garantivano una qualche tutela ai lavoratori. Così, anche se la disoccupazione - lo si legge nel report - continua a preoccupare, la promozione del Jobs Act diventa la «carota» per far digerire il compromesso: un paio di decimali di punto di «correzione» da mettere in campo subito (poco più di 3 miliardi, probabilmente reperibili senza neppure varare una manovra aggiuntiva), in cambio di un obiettivo di deficit per il 2017 molto più alto di quanto fissato nella tabella di marcia europea: dall'1,1% fino all'1,6-1,7%. E pazienza se poi l'Europa del Nord sta progressivamente gabbando l'Italia e la Grecia sui migranti, di fatto scaricando sui due Paesi la gestione della crisi. Ciò che conta è la facciata. Pace fatta, dunque? Giudicate un po' voi...
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