Altro che Jobs Act. Questo è un Jobs Crack
Questa volta non sono i «gufi» a parlare: sono i dati Istat. Che fotografano una riduzione degli occupati e un parallelo aumento dei disoccupati. I più svantaggiati sono sempre i giovani. Alla faccia della «rivoluzione»
ROMA - Ce l'aveva presentato come la «rivoluzione copernicana» del mercato del lavoro. Peraltro, con un sostanzioso investimento di soldi pubblici. E invece, a distanza di circa un anno, i risultati sono modesti, per non dire impietosi. Il Jobs Act di Matteo Renzi non ha fatto proprio alcuna rivoluzione. E non lo dicono gli acerrimi nemici del premier che, col suo fare canzonatorio, sono stati da lui ribattezzati «gufi».Lo dicono i dati Istat: quegli stessi dati che, quando fanno balenare anche un misero «zero virgola» preceduto dal segno più, vengono sbandierati dai renziani per giorni e giorni. Ora, però, da sbandierare c'è davvero poco. Perché le cifre che leggiamo sono i migliori testimoni di un disastro per certi versi annunciato.
L'unica cosa che cresce è la disoccupazione
Nell’ultimo mese dell’anno la stima degli occupati non solo non è aumentata, ma è addirittura scesa dello 0,1%, che significa 21mila persone occupate in meno. E il tasso di occupazione resta inchiodato al 56,4%, uno dei più bassi d’Europa. L'unica cosa che cresce è la stima dei disoccupati: +0,6%, pari a 18mila disoccupati in più, concentrati soprattutto tra i 25 e i 49 anni. E cresce anche il tasso di disoccupazione: +0,1%, arrivando all’11,4%. Per intenderci, un anno fa era poco sopra il 12,5%. Quanto agli inattivi, gli scoraggiati che un lavoro non lo cercano neanche più, sono aumentati soprattutto tra le donne. E, a conti fatti, sono praticamente gli stessi di un anno fa.
Tra tempo determinato e tempo indeterminato
Come se non bastasse, a un anno dall'introduzione dei bonus assunzioni per i contratti a tempo indeterminato e a nove mesi dall’avvio delle tutele crescenti, i tempi indeterminati in più sono solo 135mila. Una crescita dello 0,9% per cento. Sono cresciuti di più i tempi determinati, quelli che, a rigor di logica, sarebbero dovuti diminuire a favore dei contratti stabili: + 113mila, con un aumento del 4,9%. Cala, in compenso, la platea degli autonomi: 54mila in meno in un mese, 138mila in meno in un anno.
Giovani e donne i più penalizzati
E il campo dove la rivoluzione era più necessaria è anche quello dove sembra più lontana: il lavoro giovanile. Perché il tasso di disoccupazione nella fascia 15-24 anni a dicembre è diminuito di un misero 0,1%, fermandosi al 37,9%. Il tasso di inattività è invece rimasto invariato. Per qualcuno, addirittura, la situazione è peggiorata: tra i 35 e i 49 anni anni il tasso di occupazione è diminuito dello 0,2%. E il tasso di inattività è aumentato in tutte le fasce, tranne che per i 50-64enni. Il mercato del lavoro, insomma, resta dominato dai più anziani. In quanto alle donne italiane, rimangono tra le più disoccupate del Continente: il 47,1%. E se anche la disoccupazione femminile è diminuita dell'1,4%, ciò è successo a fronte di un parallelo aumento dell'inattività. Tradotto: non è che le donne siano molto più occupate di un tempo: molte di loro un lavoro proprio non lo cercano più.
Cosa non funziona?
Sono solo numeri, ma piuttosto eloquenti. E la morale della favola è impietosa: il Jobs Act non è la soluzione al problema della disoccupazione. Perché, anche incoraggiando il contratto a tempo indeterminato, di fatto scoraggia le altre fattispecie di lavoro, e soprattutto incentiva molto poco l'assunzione di nuovi lavoratori. Mancano interventi che diminuiscano strutturalmente il costo del lavoro, e che ne premino, con buone riduzioni di aliquote, la produttività. Manca anche una spinta globale all'economia attraverso gli investimenti. E manca - ma questo in Italia è un problema tanto radicato da essere culturale - una seria lotta all'evasione fiscale e alla corruzione: perché se il governo si impegnasse seriamente a recuperare il sommerso, i lavoratori non sarebbero costretti a versare nelle casse dello Stato la metà dei propri stipendi. E gli imprenditori non ci penserebbero mille volte prima di assumerli.
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