25 aprile 2024
Aggiornato 08:30
La fine del sogno americano, e delle ideologie

I «deplorevoli» della Clinton, ovvero la working class che fu di sinistra che sostiene Trump

Queste elezioni saranno le prime dell’era post-moderna che si caratterizzeranno per l’emersione di una nuova classe sociale di massa: la middle class impoverita. La Clinton, che in linea teorica dovrebbe rappresentare questo magma travolto dalla globalizzazione, in realtà lo deplora

Il candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump e la sua rivale, la candidata democratica Hillary Clinton
Il candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump e la sua rivale, la candidata democratica Hillary Clinton Foto: Shutterstock

WASHINGTON - Le elezioni statunitensi di questo 2016 saranno le prime dell’era post-moderna che si caratterizzeranno per l’emersione di una nuova classe sociale di massa: la middle class impoverita. La candidata democratica Hillary Clinton, che in linea teorica dovrebbe rappresentare esattamente questo magma travolto dalla globalizzazione, in una celebre gaffe ha bollato questo popolo di nuovi poveri impauriti come «deplorevoli».

I deplorevoli, chi sono
In Italia è passata sotto traccia, ma negli Stati Uniti tale categorizzazione, impregnata di un valore classista profondo e genuino, è stata vissuta al pari delle prodezze verbali, e reali, da spaccone di Donald Trump. Così i «deplorevoli» sono diventati lo zoccolo duro di un elettorato disposto a tutto pur di non far vincere la Clinton, ormai sempre più vista come la rappresentante dei valori, nel senso più triviale del termine, di Wall Street e delle multinazionali che portano lontano dagli Usa il lavoro. Disposti a tutto significa che la classe operaia statunitense, ormai distante dal sindacato organizzato visto come un dannoso orpello che fa gli interessi di tutti tranne che dei lavoratori, sta puntando decisamente verso il voto pro Trump. E’ ovviamente un cortocircuito ideologico, figlio del post modernismo che ha creato il relativismo culturale del «tutto è vero, tutto è falso».

L'epoca dell'»a-ideologismo»
Oggi però siamo di fronte a una nuova concezione filosofica: l’a-ideologismo. Ovvero la rivendicata assenza di una qualsiasi idea di mondo, di società, di senso, di relazione. Un processo di determinazione extra umano, correlato piuttosto a valori algoritmici scevri di relazione con la società che, come teorizzato molti anni fa, non esiste. Ma l’individuo di cui si componeva il mondo, sempre secondo la famosa definizione della Tatcher, sta soccombendo. E ora, sconsolato e solo, non trova punti di riferimento ideologici. In questo deserto umano, robotico, è arrivata la scheggia impazzita: Donald Trump. Inutile e stucchevole rimarcare le lacune morali del personaggio. Un uomo figlio del suo tempo e della sua cultura, e sarebbe opportuna, in una società adulta che ha dei pensatori adulti, una seria riflessione sul perché esso sia giunto dove è ora.

Trump contro le importazioni parla di lavoro
Il magnate dal passato improbabile, ma non meno improbabile di un Soros grande sponsor della Clinton ad esempio, si è rivolto direttamente ai «deplorevoli». Non gli ha fatto un’analisi della fase, né gli ha promesso servizi e spesa pubblica, sanità o pensioni: gli ha detto che vuole diminuire le importazioni da Cina, Messico, Europa, alzando dazi. Non ha spiegato come, ha solo detto che vuole fare un passo così. Ha coperto un vuoto di senso, ha aperto un vaso di Pandora che non si richiuderà nemmeno con la vittoria della Clinton. Gli ha detto che vuole tenere le fabbriche aperte. I «deplorevoli», cioè una classe che quaranta anni fa sarebbe stata un feudo della sinistra, hanno tradotto questo in un principio morale e materiale: lavoro. Quel «lavoro» su cui è fondata, ad esempio, la Repubblica Italiana. Non importa a nessuno negli Usa che Trump abbia promesso sconti fiscali ai ricchi, perché con i mille trucchetti fiscali inventati da Bush, e confermati da Obama, le tasse negli Usa sono un problema solo per i «deplorevoli». Negli Usa la percezione comune è semplice e lineare: i mega ricchi le tasse non le pagano. Come gli aristocratici francesi, prima della rivoluzione. Non c’è nulla da fare. Trump propone di tagliarle a loro, fittiziamente perché tanto non v’è nulla da tagliare, e anche ai «deplorevoli».

Cosa sa l'americano medio
Lo statunitense medio non segue l’invidia di classe, è un concetto avulso dalla cultura americana: l’americano medio sa bene solo poche cose: da quaranta anni il suo reddito non aumenta, il suo lavoro langue, la sua capacità d’acquisto è tagliata, e il futuro è ricco di nubi all’orizzonte. La globalizzazione, abbracciata con entusiasmo negli Stati Uniti dai «deplorevoli» fin dall’inizio, ora non ha più favole da raccontare e sogni da vendere: la globalizzazione è un sogno che non ci si può più permettere di fare, negli Usa. Perché ha presentato un conto salatissimo alla middle class dei «deplorevoli». Milioni di persone prive di stato sociale, diritti e istruzione decente. Un tempo si chiamavano «classe lavoratrice», poi negli anni Cinquanta sono finiti sotto l’etichetta di «classe media», per poi essere giunti nell’inferno calviniano del «deplorevoli».

La fine del sogno americano
E’ il sogno americano che crolla: non più un paese dove tutti ce la possono fare, un paese dove quasi tutti sono di troppo. E con sé trascina un altro architrave della società: la famiglia, caduta sotto i colpi della povertà. Gli Usa sono un paese iper-individualista, ma il legame familiare era appunto la rete sociale che sostituiva lo Stato. Crollata quella, rimane un paese di arrabbiati, solitari, privi di legami. Disposti a credere al primo che dice: «Ehi, ma tutto questo ha un solo responsabile: la globalizzazione». E dato che è una voce solitaria, seppur imbarazzante, ai deplorevoli non rimane che ascoltare lui.

La working class rappresentata da un repubblicano
E così vi è questa incredibile saldatura tra la middle classe, oggi deplorevoli, e il famoso «popolo di Seattle»: quell’universo anarcoide che diede vita al movimento no-Global poi finito nel cassetto dei ricordi. Potrà sembrare stravagante, ma oggi i due candidati alla presidenza degli Usa, più il repubblicano che la democratica ovviamente, dicono più o meno le stesse cose di quel mondo scomposto che mise a ferro e fuoco la città che nel 1999 organizzò una sessione straordinaria del Wto. Ed è solo per il trionfo della a-ideologia ultrarelativista che si giunge a questo passo surreale: quella che fu la working class, rappresentata, almeno a parole, da un repubblicano. Mentre la super classe dei miliardari sovranazionali tifa per la candidata democratica. Si giunge al punto che colei che prende in mano il partito della fu working class, conia per questa il bell’epiteto «deplorevoli».

La fine delle ideologie novecetesche
Sbando completo, nel quale si procede per sillogismi contrapposti, più che per idee e proposte. Chi sono i nemici di Trump? I ricconi di Seattle e della California, i banchieri di Wall Street e media patinati. Chi sono gli amici della Clinton e dei deplorevoli? Esattamente gli stessi. Ed ecco che si forma il voto. E’ il frutto amaro della fine delle ideologie novecentesche. Ovvero la fine delle idee, del pensiero, dell’opinione. La fine della storia, ancora per un po’.