2 novembre 2024
Aggiornato 19:30
Divisioni, tensioni e... accordi top secret

Siria, la guerra nella guerra. Tutti i guai e i segreti dell'amministrazione Obama

Quando si parla di Siria, c'è una guerra nella guerra di cui si sa molto poco. Ed è quella che si è consumata (e continua a consumarsi) all'interno dell'amministrazione Obama

Il presidente Usa Barack Obama.
Il presidente Usa Barack Obama. Foto: Shutterstock

WASHINGTON - Gli Stati Uniti sull'orlo di una crisi di nervi, almeno per quanto riguarda la Siria. Se questa sia o no una esagerazione, giudicatelo voi dopo aver letto quello che sta accadendo (e che è accaduto) all'interno dell'amministrazione Obama, e che ora rischia di rovinare l'intenso e complicatissimo lavorio diplomatico che ha in questi giorni portato alla tregua promulgata da Mosca e Washington. Perché in realtà, a cinque anni dall’inizio del conflitto e decine di migliaia di morti, una strategia chiara sulla linea da seguire nella polveriera siriana ancora gli Usa non ce l'hanno.

2013: Mosca e Washington più vicine?
Il motivo è riconducibile alle clamorose divisioni e rivalità che, giorno dopo giorno, sono emerse tra apparati militari e Pentagono da un lato, e Dipartimento di Stato e Cia dall'altro. Differenze di vedute su come intervenire nella crisi, sulla politica da tenere con Bashar al Assad e su come comportarsi con la Russia di Vladimir Putin. I primi mal di pancia si sono manifestati nel 2013, quando l'impegno della diplomazia russa guidata dal ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov riuscì a sventare un intervento militare Usa in Siria, convincendo Assad a distruggere il proprio arsenale chimico. Un'intesa seguita dalla rimozione di David Petraeus come direttore della Cia e di Hillary Clinton come segretario di Stato (entrambi ferventi interventisti), tutti segnali che sembravano preannunciare una nuova collaborazione tra Washington e Mosca e un’intenzione degli americani di abbandonare definitivamente il tradizionale approccio belligerante nei confronti del Presidente siriano.

Tra Dipartimento di Stato e Pentagono, il caos
Le cose, però, non sono andate esattamente così. Perché anche l’arrivo di John Kerry al Dipartimento di Stato e di Michael Morell alla Cia non modificarono sostanzialmente la linea degli Usa: una linea che rimaneva fortemente orientata alla rimozione di Assad e decisamente poco propensa al dialogo con Mosca, ulteriormente rafforzatasi dalla nomina di Ashton Carter a capo del Pentagono. Ciò non significa, però, che comparti e apparati all’interno dell’Amministrazione abbiano marciato compatti davanti all’obiettivo: tutt’altro. Perché  il Pentagono ha cominciato a selezionare gruppi ribelli da armare e supportare, senza però coordinarsi preventivamente con il Dipartimento di Stato, che era già impegnato per conto suo in attività di questo genere.

Un accordo segreto
Il risultato è stato che gruppi di ribelli armati dagli Usa si combattevano tra loro. Palesando le enormi lacune di Washington nel tentare di coordinare le forze locali in teoria impegnate a combattere sia Assad che l’Isis, e con i risultati che ben conosciamo. Ma c’è di più: secondo il giornalista Seymour Hersh (lo stesso che sostenne con un’inchiesta che il gas sui civili era stato usato dai ribelli e non da Assad), ha parlato di un accordo voluto da un gruppo di gallonati guidati dal generale Martin Dempsey, allora Capo degli Stati Maggiori, e da Michael Flynn, già direttore della Defense Intelligence Agency (Dia). Un accordo, per intenderci, teso a cambiare il corso della politica siriana della Casa Bianca prima che culminasse in un clamoroso fallimento.

Manovre contro la direzione del Dipartimento di Stato
Il patto sarebbe stato suggellato dopo che Dempsey ebbe tra le mani il rapporto messo insieme dalla Dia sulle conseguenze disastrose che avrebbe avuto il tentativo dell’America (prigioniera delle aspirazioni turche) di rimuovere Assad. Da qui, la decisione di cercare sommessamente contatti con la Russia di Vladimir Putin e, indirettamente, con lo stesso Assad, e di inviare rapporti segreti redatti dalla Dia ai militari russi, tedeschi e israeliani, affinché li girassero a loro volta all’esercito siriano per sostenerlo nella lotta all'Isis e al fronte al-Nusra. In cambio, lo Stato Maggiore Usa avrebbe chiesto ad Assad di intercedere presso il suo fedele alleato Hassan Nasrallah affinché frenasse le attività anti-israeliane condotte da Hezbollah, di riavviare i negoziati con Tel Aviv sulle alture del Golan e di indire nuove elezioni dopo la fine della guerra, autorizzando la presenza di una parte delle forze d’opposizione.

Gli Usa non hanno mai rinunciato ad Assad
Un’iniziativa che non durò molto, a causa della resistenza della Casa Bianca, rimasta fedele al proprio approccio. Tuttavia, le ambiguità della politica americana in Siria sono rimaste: da un lato apparentemente più disposta ad allinearsi alla proposta russa, dall’altro mai davvero decisa ad abbandonare la linea «anti-Assad» per dare priorità alla lotta ai jihadisti. Lo dimostra la riunione convocata a Bruxelles nel febbraio 2016 dal numero uno del Pentagono Ashton Carter, con i ministri della Difesa di ben 49 Paesi alleati, per discutere le modalità di un’eventuale invasione terrestre della Siria. Notizia che, con rare eccezioni, è stata completamente ignorata dai media mainstream, e che dimostra come l’obiettivo silenzioso ma primario per Washington sia rimasto Assad. Tanto che i raid Usa non hanno risparmiato silos contenenti riserve di grano industriosamente accumulate dallo stato siriano, che (secondo la versione ufficiale), trovandosi nei territori dell’Isis, sarebbero stati scambiati per basi di gruppi jihadisti.

L’accordo che non mette d’accordo l’Amministrazione
A questo quadro già sufficientemente inquietante, si aggiunge oggi la rivelazione del New York Times, secondo cui l’accordo sulla tregua concertato da John Kerry e Sergej Lavrov avrebbe già causato nuovi screzi tra il Dipartimento di Stato e il Pentagono. Ashton Carter, in particolare, avrebbe serie riserve sull’opportunità di condividere con la Russia informazioni di intelligence nella lotta contro i jihadisti, qualora la tregua tenesse per tutti i 7 giorni. Per il quotidiano della Grande Mela, Carter è stato tra i più fervidi oppositori dell’accordo, e l’apparato militare in generale è convinto che Mosca non implementerà il patto come dovrebbe. Dal canto suo, la strategia di Kerry sarebbe invece quella di fare di tutto per bloccare i bombardamenti dell’esercito siriano, per poi cercare di concertare con Putin una via d’uscita per il Presidente siriano.

Da dove arriva il fallimento di Obama
Un quadro, come si vede, decisamente complesso e attorcigliato, caratterizzato da tensioni, rivalità, mancanza di coordinamento e di visione comune all’interno della stessa amministrazione Obama. E che può forse far capire perché le mosse statunitensi nel conflitto siriano siano apparse, dall’esterno, tanto confuse, poco chiare e contraddittorie. E perché per l’attuale Presidente la Siria sia uno dei più grandi e pesanti fallimenti.