26 aprile 2024
Aggiornato 00:30
Emergenza umanitaria

Profughi siriani in Turchia, «una pentola a pressione pronta a scoppiare»

Così secondo gli esperti potrebbe evolversi la situazione sociale dei 2,2 milioni di profughi siriani (secondo dati ufficiali) che si trovano in Turchia, se non verranno compiuti rapidamente dei passi per la loro integrazione nella società.

ANKARA - «Una pentola a pressione pronta a scoppiare». Così secondo gli esperti potrebbe evolversi la situazione sociale dei 2,2 milioni di profughi siriani (secondo dati ufficiali) che si trovano in Turchia, se non verranno compiuti rapidamente dei passi per la loro integrazione nella società. L'accordo per mettere in atto un piano di azione congiunta raggiunto il 29 novembre scorso tra Ankara e Bruxelles mira principalmente a contenere e contrastare l'esodo dei profughi. Aspiranti rifugiati che partendo dalle coste occidentali turche cercano di raggiungere l'Europa, in un tentativo disperato che nei primi dieci mesi di quest'anno ha portato oltre 3mila persone a morire per annegamento. Ma sebbene il piano congiunto preveda - tra gli altri - di "innalzare" lo standard di vita dei profughi in Turchia, la modalità di questa trasformazione mantiene tutte le incognite del caso.

La Turchia, com'è noto, seppur firmataria della Convenzione di Ginevra del 1951, per via di una riserva geografica non riconosce lo status di rifugiato ai richiedenti non-europei. Di conseguenza, la condizione di «ospiti» con cui Ankara identifica i siriani accolti nel proprio territorio negli ultimi 4 anni, non fornisce loro uno statuto legale ben definito. Se infatti poco più di 260 mila profughi risulta stanziato nei 25 campi concentrati nella zona sudorientale del Paese, godendo di una maggiore facilità di accesso ad alcuni servizi di base offerti dallo Stato turco, la stragrande maggioranza degli altri siriani non è in grado di accedere regolarmente al mercato del lavoro, al sistema sanitario o all'istruzione. «Voglio andare in Svezia. Lì lo Stato dà la casa, dei soldi. Lì i miei figli possono andare a scuola. Qui il governo non ci garantisce il diritto di alloggio, lavoro e istruzione. Guadagno uno stipendio estremamente basso lavorando 12 ore al giorno e la maggior parte della paga serve a coprire le spese d'affitto per la casa. I miei figli lavorano quando invece dovrebbero andare a scuola. Non vedo un futuro per me e per i miei figli qui», riassume la situazione un siriano, con una testimonianza raccolta da una recente ricerca condotta dalla sociologa Dogus Simsek della Università Koç.

Le conseguenze dell'accordo di riammissione siglato con l'UE Non potendo ottenere lo status di rifugiato in Turchia, migliaia di profughi cercano di raggiungere l'Europa, dove invece possono avanzare la loro richiesta. Ma se Ankara, a partire dal giugno 2016, inizierà ad implementare l'accordo di riammissione siglato con l'UE nel 2013 - che inizialmente avrebbe avuto decorso dal 2017 ma che poi, alla luce dell'emergenza profughi è stato anticipato - i profughi che raggiungeranno l'Europa per vie illegali potranno essere rimandati in Turchia. Tuttavia, secondo quanto spiega Metin Çorabatir, ex portavoce per la Turchia dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nonchè presidente del Centro di ricerca per i rifugiati e migranti (Igam), «ci sono incertezze sulla definizione dei soggetti che dovrebbero essere interessate dall'accordo. La normativa UE prevede che la persona oggetto della riammissione deve essere in grado di poter fare richiesta individuale di rifugiato. Ma la Turchia riconosce ai siriani una protezione temporanea. E coloro che sono sotto protezione temporanea non hanno la possibilità di chiedere asilo. Di conseguenza la Turchia non è un Paese terzo sicuro per i siriani dal punto di vista della normativa europea».

Bisogna poi ricordare che in Turchia si trovano anche circa 110mila profughi di nazionalità afghana, iraniana, irakena e somala - tra i quali ad esempio gli irakeni godono di agevolazioni maggiori per all'accesso ai servizi, mentre quello degli afghani risulta il gruppo maggiormente penalizzato -accomunati comunque tutti dall'incertezza del proprio status. Secondo quanto diffuso in un recente rapporto del think tank Human Rights Watch, la Turchia, dallo scorso marzo, avrebbe quasi completamente chiuso i propri confini - impedendo di conseguenza l'ingresso di nuovi profughi. Un altro rapporto presentato l'altro ieri ai leader UE sottolinea invece che il numero dei migrati che hanno raggiunto la Grecia partendo dalle coste turche non ha registrato una diminuzione dopo la firma dell'accordo sul piano d'azione comune - da cui dipende l'erogazione della somma di 3 miliardi di euro che l'UE stanzierebbe per la gestione dei profughi siriani in Turchia. E ciò nonostante Ankara abbia avviato delle operazioni rivolte ad oltre 3mila aspiranti rifugiati intesi a partire, arrestati e inviati nei centri di espulsione. Una misura che porta molti a interrogarsi sulle ripercussioni dell'accordo sulla situazione già estremamente drammatica dei profughi e rischi non indifferenti sulle dinamiche sociali della stessa Turchia.

«Il diritto d'asilo è un diritto umano. Il dibattito sulla situazione dei profughi siriani che negli ultimi 3 mesi ha coinvolto i Paesi UE prosegue sulla linea della protezione dei confini e non da una prospettiva focalizzata sulle persone» evidenzia la sociologa Do?us Simsek, «non bisogna dimenticare che il diritto d'asilo è un diritto umano», aggiunge l'esperta di fenomeni migratori.

«Al fine di prevenire ogni tipo tipo di incomprensione e per mettere in chiaro che l'UE non intende infrangere la legge internazionale, nemmeno in momenti disperati, l'UE deve grantire - così come anche formulato dallo HRW - che il piano finale [riguardo ai profughi] includa l'impegno da parte delle autorità turche di permettere ai siriani di chiedere asilo in Turchia», afferma a sua volta l'ex parlamentare UE Joost Lagendijk sulle pagine del quotidiano Todays's Zaman. Anche Metin Çorabatir ritiene che la Turchia in ultima istanza sarà portata a togliere la propria riserva geografica. «La domanda a cui dobbiamo rispondere è questa: lasceremo queste persone per strada e affamati, mantenendole in vita con gli aiuti o riconosceremo loro i diritti previsti dallo status di rifugiato integrandoli nella nostra società?» ha affermato l'esperto in una recente intervista al quotidiano Cumhuriyet. «Se non riusciamo a integrarli nella nostra società» prosegue Çorabatir, «ci saranno delle grandi esplosioni a livello sociale. Persone che vivono sull'orlo della fame e lavorando in nero, bambini che non vanno a scuola, proliferazione di malattie per mancanza di igiene, 2,2 milioni di persone private dall'accesso ai servizi sociali, al diritto di alloggio, sanità e istruzione e che cercano di costruire dei propri ghetti in aggiunta ad una popolazione turca estremamente tesa. Senza integrazione questa pentola a vapore è destinata a scoppiare».

(con fonte Askanews)