20 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Una «tragedia» tutt'altro che risolta. Anche se se ne parla poco

Che «fine» ha fatto la crisi greca?

E' stata al centro delle cronache internazionali nei mesi estivi; eppure, da tempo l'andamento della crisi greca sembra non interessare più molto i media europei. Nonostante lo psicodramma ellenico sia tutt'altro che risolto

ATENE – E’ stato il tema centrale dell’estate, quello intorno a cui tutta l’Europa ha tenuto per mesi il fiato sospeso: ma poi, da quando l’accordo «lacrime e sangue» è stato firmato e Alexis Tsipras riconfermato  premier alle elezioni anticipate, la crisi greca ha cessato di essere al centro delle cronache internazionali. Eppure, non si può proprio dire che a questo silenzio corrisponda una effettiva «risoluzione» della crisi. Sebbene le polemiche si siano spente, sorpassate da tante altre «urgenze» nazionali e internazionali, la «tragedia», purtroppo, continua. Continua sulla pelle di milioni di greci, e mantiene alta la soglia di attenzione delle cancellerie europee.

Il problema delle espropriazioni
A fine ottobre, Foreign Policy ha notato come la tenuta dell’accordo stesse mostrando già i primi segni di cedimento. Il nodo della questione, in particolare, riguarda l’espropriazione delle case di residenza dei greci che non hanno pagato le rate sui loro mutui in banca. Alexis Tsipras aveva promesso in campagna elettorale di evitare gli espropri e la messa in vendita di tutte le prime case. I creditori, convinti che molti contribuenti ne abbiano approfittato smettendo di onorare le rate pur avendo i soldi per farlo, chiedono di limitare il «blocco» solo per quelle di valore inferiore ai 120mila euro e per persone inserite in programmi sociali per la povertà. Tsipras, invece, vorrebbe alzare la soglia a un valore di 300mila euro, o fare in modo che il provvedimento riguardi chi guadagna almeno 35.000 euro all’anno. Ad oggi, sarebbero 320mila i greci non in regola con i pagamenti, circa il 40% dei proprietari ellenici, ma per il governo la proposta Ue metterebbe a rischio circa l’80% di coloro che, dopo aver ottenuto un mutuo, sono in ritardo nei pagamenti delle rate.

Pressing su Atene
Il braccio di ferro sulle espropriazioni è soltanto l’ultimo esempio della tensione che ha costellato, fino ad ora, tutto il processo di implementazione dell’accordo tra Atene e Bruxelles. Un paio di settimane fa, il giornale tedesco Süddeutsche Zeitung ha pubblicato un report secondo cui Tsipras avrebbe portato a termine solo 14 delle 48 riforme che si è impegnato a realizzare per ricevere il terzo piano di salvataggio del Paese. Secondo il report, i creditori europei avrebbero anche considerato di rimandare il pagamento di ottobre da 3,32 miliardi. Il giornale tedesco parlava di un «timore crescente a Berlino e tra gli altri creditori» a proposito dell’implementazione delle riforme tedesco, e incoraggiava quindi Tsipras ad accelerarne il processo: «Non c’è tempo da perdere. C’è bisogno di lavorare attivamente per modernizzare lo stato e l’economia greci», affermava.

Ricapitalizzazione delle banche e migranti
A ciò, si aggiunga il piano di ricapitalizzazione delle banche. Che, pare, sarà più facile del previsto, visto che l’analisi della Bce abbassa, dai 25 milioni originari, il fabbisogno del sistema bancario a una cifra compresa tra i 4 e i 14,4 miliardi. Rimane però da risolvere  il problema dei prestiti in sofferenza (oggi al 40% del totale) su cui le visioni del governo e quelle di Bruxelles divergono. Non da ultimo, un fattore «imprevisto» che pesa sui negoziati: la crisi migratoria. Perché Tsipras continua a sperare che Bruxelles intervenga presto per alleviare il peso della crisi sulla già sofferente Grecia. In tale prospettiva, il premier greco il 17 novembre volerà ad Ankara per incontrare il presidente turco Erdogan e il primo ministro Ahmet Davutoglu, accantonando eccezionalmente i rapporti da sempre tesi tra i due Paesi. Secondo l’Unhcr, in Grecia il numero di arrivi via mare dall'inizio dell'anno ha superato il mezzo milione, dopo che nella giornata del 21 ottobre sono giunte sulle isole del Mar Egeo, Kos e Lesbo soprattutto,quasi 8mila persone, portando il totale a circa 502.500. Di fronte alle ultime tragedie nell’Egeo Tsipras non ha potuto che esprimere «dolore infinito», parlando di «vergogna per l’Europa». L’Egeo, ha detto, «non sta trascinando via solo i bambini morti ma la stessa civiltà europea»

Sconvolgenti rivelazioni
Intanto, mentre questi nodi erano in discussione, il quotidiano britannico The Guardian pubblicava nuove rivelazioni su quei terribili «tre giorni che salvarono l’euro», forse al prezzo di affossare Atene. Al centro delle polemiche, la «scioccante e-mail» che il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble mandò alle 6 di pomeriggio di venerdì 10 luglio a un «numero molto ristretto di alti funzionari», in partenza per il lungo weekend di Bruxelles. Il messaggio era «chiaro, nero su bianco, duro e brutale». Per la Grecia l'espulsione. Per tutti gli altri, «o diventate più tedeschi o sarete i nuovi greci». Da quella paginetta, si capiva benissimo che, se voleva restare, Atene avrebbe dovuto «capitolare alle richieste d’austerity della Germania, ristrutturare welfare, pensioni e sistema fiscale e cedere un’ampia parte di sovranità». In particolare, dal testo, mai diffuso pubblicamente, emergeva chiaramente che, per la prima volta, un Paese dell’Ue sarebbe potuto uscire a breve dalla moneta unica, «dal lunedì dopo sarebbero iniziati i preparativi». Si proponeva dunque la «sospensione della Grecia per almeno 5 anni, Atene avrebbe anche dovuto trasferire asset per 50 miliardi, un quarto della ricchezza nazionale, in un fondo fiduciario basato in Lussemburgo e controllato dall’Esm». Una «massiccia opera di sottrazione di asset, sul modello della privatizzazione dei beni statali della Germania Est». Gradualmente sarebbero stati «svenduti e usati per ripagare il debito». Un ultimatum che ha lasciato scandalizzati e increduli molti diplomatici europei, e di cui non si è parlato granché nemmeno quando The Guardian l’ha reso pubblico. Paradossalmente, invece, l’opinione pubblica italiana è stata catalizzata dal compenso a molti zeri concesso dalla Rai all’ex ministro delle Finanze ellenico Yanis Varoufakis,  piuttosto che da tali sconvolgenti rivelazioni. Che testimoniano, se ancora ce ne fosse bisogno, come ha funzionato la «democrazia» europea di fronte alla difficoltà di uno Stato membro. E quanta strada dobbiamo ancora fare per poter parlare di «Stati Uniti d’Europa».