I due «pulsanti» della Merkel che decideranno l'esito della crisi greca (e non solo)
Nel 2011, Yanis Varoufakis scrisse un saggio riguardante la «teoria del Minotauro globale», cioè quel sistema economico-finanziario centrato su Wall Street causa di tutti gli squilibri (anche quelli greci). La cancelliera di Germania avrebbe gli strumenti, in Europa, per un cambio di passo. Ma lo farà?
ATENE – All’indomani del referendum greco, il ministro che ha «scandalizzato» l’Eurogruppo ha annunciato le sue dimissioni. Il sacrificio di Yanis Varoufakis – nelle intenzioni di Alexis Tsipras – dovrebbe favorire i negoziati e lo scioglimento della crisi. Eppure, secondo l’ex ministro questo felice epilogo difficilmente avverrà. A meno che non si abbia il coraggio di modificare gli equilibri economici mondiali americanocentrici.
Il Minotauro di Wall Street
Il suo volume «Il Minotauro globale — L’America, le vere origini della crisi e il futuro dell’economia globale» può infatti spiegare le fondamenta del «Varoufakis-pensiero». Nel mito greco, il Minotauro era il figlio di Poseidone e Pasifae, mostro a cui gli ateniesi ogni anno dovevano offrire in pasto sette fanciulle e sette fanciulli. Per Varoufakis, la nostra economia è come un gigantesco minotauro, che ci impegniamo ad alimentare inviando i nostri surplus finanziari a Wall Street. La finanziarizzazione dell’economia mondiale, iniziata con l’abolizione del gold standard nel 1971, ha fatto crescere le radici della crisi globale: una crisi che la Grecia ha vissuto drammaticamente.
Il ruolo della Germania
Oggi, il Minotauro globale sta letteralmente disintegrando l’Europa. L’architettura dell’Ue, secondo Varoufakis, non è forte abbastanza per resistere sotto le convulsioni mortali di quel sistema centrato su Wall Street che ha dimostrato tutta la sua fallacia. La sequenza mortale di banche insolventi e stati in bancarotta deriva proprio da questo sistema, sistema che – pur avendo palesato le sue conseguenze mortali – molti sono ancora determinati a perpetuare. Fra questi «molti» la Germania, che non ha alcuna intenzione di porre fine alla crisi dell’eurozona una volta per tutte. Perché?
Giallo o rosso?
Si potrebbe dire che Berlino non è disposta a pagare per i debiti delle periferie. In realtà, è come se di fronte ad Angela Merkel ci fossero due pulsanti, uno rosso e uno giallo. Premendo il rosso, la Cancelliera sceglierebbe di mettere fine alla crisi, di dare un taglio ai debiti degli Stati, di risparmiare altro dolore a Grecia, Italia e Sud Europa, di non dover più garantire per i debiti della periferia, favorendo, all’interno dell’Europa, giustizia sociale. Con il giallo, invece, le cose rimarrebbero pressoché invariate: il tentativo sarebbe quello di non far collassare l’Europa, mantenendo i tassi di interesse tedeschi bassi, l’euro abbastanza debole (favorendo le esportazioni tedesche), lo spread della periferia alto e il Pil dei Paesi ricchi in crescita, quello dei Paesi poveri a picco. Le periferie (come la Grecia, ma potenzialmente anche l’Italia) diventerebbero nuovi Kosovo: terre devastate dove, al più, comprare casa per le vacanze.
Come mettere fine alla «bancarottizzazione»?
Per Varoufakis, gli interessi tedeschi spingono la Merkel verso il bottone giallo. Il suo elettorato non le permetterebbe una scelta diversa, imbevuto com’è della storia delle due Europe, quella virtuosa che è resistita ai colpi della crisi, e quella dedita agli sprechi da punire. Una storia che si è rafforzata quando la crisi del 2008 ha cominciato a minacciare anche gli interessi di Berlino. Il cuore della questione, dunque, è sfruttare la sofferenza del Minotauro per rivoluzionare il sistema, ponendo fine alla «bancarottizzazione» dell’economia globale. Un obiettivo difficilmente raggiungibile, visti gli squilibri a cui stiamo assistendo, che sembrano ormai ineliminabili. Obiettivo irraggiungibile, di certo, finché la Germania sceglierà il pulsante giallo.
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