Tiraboschi: «Il 90% delle assunzioni non è coperto dall'articolo 18»
Lo ha detto il docente di diritto del lavoro all'università di Modena e direttore del centro studi «Marco Biagi», Michele Tiraboschi, a Prima di tutto su Radio 1: «Mi pare però che questa discussione arrivi con 15 anni di ritardo: poteva essere allora un importante strumento culturale anche per dare impulso al cambiamento, alla modernizzazione del sindacato».
ROMA - L'articolo 18 «è un totem, non aiuta a creare posti di lavoro, maggiore occupazione, e noi dobbiamo lavorare per dare opportunità ai giovani, quindi non possiamo certo partire dai licenziamenti. Il 90% delle assunzioni peraltro non è coperto dall'articolo 18». Lo ha detto il docente di diritto del lavoro all'università di Modena e direttore del centro studi «Marco Biagi», Michele Tiraboschi, a Prima di tutto su Radio 1.
«Mi pare però - ha aggiunto - che questa discussione arrivi con 15 anni di ritardo: poteva essere allora un importante strumento culturale anche per dare impulso al cambiamento, alla modernizzazione del sindacato. Ora Renzi la sfida nei rapporti di forza con il sindacato l'ha già vinta, quindi la questione dell'articolo 18 arriva alla fine di un discorso più ampio di riforma del lavoro».
L'occupazione si crea su un edificio stabile - Secondo Tiraboschi «la cosa grave è che da 4 anni non facciamo altro che cambiare le regole del mercato del lavoro e questo non fa bene all'economia, al lavoro, alle imprese. L'occupazione si crea su un edificio stabile, sulla certezza delle regole presenti in azienda. Cambiare ogni volta il quadro delle regole occupazionali frena le imprese nelle assunzioni, con gli imprenditori che aspettano la tanto annunciata riforma del lavoro per compiere i loro passi».
Oltretutto, la riforma Fornero «ha modificato il sistema pensionistico, quindi non solo è difficile per le aziende assumere giovani ma anche seguire i percorsi di carriera di chi è già occupato», ha spiegato.
Secondo Tiraboschi, la riforma Renzi dovrebbe concentrarsi «da un lato sul pieno sostegno all'economia, individuando i settori trainanti e produttivi sui quali effettuare forti investimenti tecnologici, e dall'altro il raccordo tra scuola, università e lavoro». Perché il problema principale per i giovani «è l'accesso al lavoro; scontano una formazione troppo teorica, troppo lontana dal mondo del lavoro, con competenze che si allontanano dalle richieste più urgenti del mercato. L'idea di un contratto a tutele crescenti - ha precisato - va ovviamente valutata ma non è sbagliata, visto che è normale che nel mondo del lavoro crescano le tutele in base all'anzianità di servizio e alle esperienze accumulate. Temo però che applicare l'articolo 18 solo a chi oggi ha già una occupazione e invece promettere agli altri una occupazione stabile attraverso percorsi triennali o anche più lunghi, rischi di spaccare ulteriormente il mercato del lavoro e penalizzare ancor di più i giovani».
Pizzolante (NCD): Renzi non riesce a liberarsi conservatorismo PD - «Sulla riforma del mercato del lavoro, articolo 18 e pensioni, Taddei e Poletti dicono cose non adeguate e Renzi non sembra capace di liberarsi del conservatorismo del Pd sul lavoro. Il lavoro è la prova del 9 sulla veridicità della svolta riformista di Renzi. Sembra, invece, che Il suo ministro e il responsabile economico del Pd sposino le tesi ultra conservatrici di Damiano». A dirlo è Sergio Pizzolante, vice presidente dei deputati del Nuovo centrodestra. Per Pizzolante «l'idea di far pagare di più alle imprese la flessibilità è ridicola. Bisognerebbe, invece, far pagare di meno le forme contrattuali più rigide. Il contratto a tutele crescenti, permanendo l'articolo 18 e in sostituzione di altri contratti flessibili, sarebbe un cappio mortale per le imprese».
«Per noi, - conclude Pizzolante - la liberalizzazione del mercato del lavoro con il superamento dell'articolo 18 è l'unica possibilità che abbiamo per stimolare le aziende ad assumere con contratti a tempo indeterminato. Tutto il resto sono sciocchezze figlie di una protervia demagogica e ideologica che Renzi deve superare. Inoltre, non accetteremo nuove tasse sulle pensioni contro il ceto medio. Le risorse per ridurre le tasse si debbono trovare facendo dimagrire lo Stato, le Regioni, i Comuni in maniera decisa e radicale e non aggredendo le imprese e le famiglie».