13 dicembre 2024
Aggiornato 00:30
Manovra finanziaria

Il governo va avanti contro tutti: Tria, Mattarella, mercati ed Europa

M5s e Lega dimostrano coraggio: pur di varare una manovra in deficit del 2,4% hanno aperto molti fronti di scontro, interni ma soprattutto esterni

Il ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, raggiunge palazzo Chigi per il Consiglio dei ministri
Il ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, raggiunge palazzo Chigi per il Consiglio dei ministri Foto: Giuseppe Lami ANSA

ROMA – Contro tutto e contro tutti. Il governo Conte dimostra un coraggio capace di smentire molti scettici, varando una manovra con un deficit senza precedenti, pur di iniziare a concretizzare le promesse presenti nel contratto di governo. Quel temutissimo numeretto 2,4%, più volte annunciato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, alla fine è effettivamente comparso nel Documento economico e finanziario licenziato ieri dal Consiglio dei ministri. Ma, per riuscirci, Movimento 5 stelle e Lega hanno dovuto combattere non pochi nemici.

La resa di Tria e Mattarella
La prima contrarietà da sconfiggere era quella interna: quella del ministro dell'Economia, il tecnico Giovanni Tria, e del suo principale difensore istituzionale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. I due difensori del rigore dei conti si erano attestati inizialmente sull'1,6%, poi avevano spostato la trincea sul 2%: «Se insistono sul 2,4%, non posso partecipare al Consiglio dei ministri», aveva anticipato Tria al numero due leghista Giancarlo Giorgetti. Insomma, il titolare di via XX settembre era pronto a dare le dimissioni, pur di non mettere la sua firma su quell'odiato numero, ma è stato fermato proprio da Mattarella. Dal Quirinale sono partite due telefonate: la prima al premier Giuseppe Conte, la seconda allo stesso Tria, che è stato invitato a restare nel suo ruolo di garante. Anche perché, nel caso in cui se ne fosse andato, le sue deleghe sarebbero sostanzialmente finite in mano a Paolo Savona, proprio l'uomo che il Colle aveva inizialmente bocciato. «Non mi dimetto per il bene della nazione - avrebbe confessato il ministro ai suoi collaboratori in serata - Se me ne fossi andato le conseguenze sui mercati sarebbero state superiori a quelle che deriveranno dall'aumento del deficit. Il Paese sarebbe precipitato nel caos». Insomma, pur di limitare i danni (dal loro punto di vista), Tria e Mattarella hanno accettato di arrendersi incondizionatamente alla linea gialloverde.

I mercati costretti ad ingoiare
L'altro fronte aperto dai piani economici dell'esecutivo è ovviamente quello internazionale. Il deficit che si assesta sul 2,4% è innanzitutto uno schiaffo agli investitori, ai mercati, alle famigerate agenzie di rating: «Dato il peggioramento del deficit, è inevitabile che reagiscano – scrive Federico Fubini sul Corriere della Sera – In ottobre S&P o Moody's possono declassare il debito italiano a un passo o sotto il livello spazzatura. Gli investitori di ogni tipo, dai fondi newyorkesi che comprano debito pubblico alle piccole imprese dei distretti, faranno un passo indietro. Il sistema finanziario e l'intera economia rischiano di entrare in tensione». Al venerdì mattina Piazza Affari è già in calo del 2,5%, ma Salvini dal canto suo non sembra preoccupato: «I mercati se ne faranno una ragione».

La resa dei conti con l'Europa
Ultimo, ma non certo in ordine di importanza, è lo scontro che è destinato inevitabilmente ad aprirsi con le istituzioni europee. Bruxelles aveva fatto pervenire a Roma un messaggio chiaro: se si fosse superata la soglia del 2%, la legge di Bilancio sarebbe preventivamente bocciata ad ottobre, per violazione del patto di stabilità. Non solo, ma visto che l'Italia già non stava rispettando la riduzione del debito prevista dalle regole, il rischio è che venga avviata addirittura una procedura d'infrazione, un gesto mai visto verso un paese dell'area euro. «Ora parte l'interlocuzione con l'Ue e con i grandi investitori privati e non abbiamo intenzione di andare allo scontro», tenta di calmare gli animi Di Maio. Ma un ottimo argomento con cui aprire le trattative con la Ue, il governo in effetti ce l'ha in mano: la Francia ha previsto per l'anno prossimo un rosso ancora maggiore di quello italiano, al 2,8%. Dunque, ci si chiede, «perché Emmanuel Macron sì e noi no?». Un concetto chiaro e spendibile, soprattutto ora che si avvicinano le elezioni europee che minacciano l'avanzata degli euroscettici e dei sovranisti.