Libia, l'Italia sceglie la prudenza. Ma rinuncia alla leadership
Dopo il «passo indietro» del Governo sull'intervento in Libia, Al Jazeera analizza il comportamento non sempre cristallino del nostro esecutivo. Che, per aver scelto la prudenza, pare aver rinunciato alla leadership

TRIPOLI - Ha fatto scalpore la decisione presa dal Governo annunciata da Vienna di non intervenire militarmente, almeno per ora, in Libia. Una decisione infine supportata anche dal segretario di Stato americano John Kerry, che ha deciso di revocare l'embargo sulle armi che gravava sulla Libia, facendo seguito alla richiesta ufficiale del premier Faiez Serraj. Eppure, la prudenza italiana rischia di essere presa, almeno a livello internazionale, per un eccesso di timidezza: soprattutto dal momento che, a Roma, il segretario della Difesa Usa Ashton Carter ha ufficialmente e in mondovisione assegnato all'Italia il ruolo di guida in quello che pareva un ormai imminente intervento per stabilizzare il vicino nordafricano. E se anche il vertice di Vienna ha evidenziato una certa unità di intenti, non si può dire che tale «unità» ci sia sempre stata. E nemmeno si può essere sicuri che continuerà ad esserci. Tanto che, nelle parole del presidente del Consiglio Matteo Renzi, la decisione di non inviare truppe è stata presa «nonostante il pressing degli alleati».
Il passo indietro di Roma
A stupirsi del «passo indietro italiano», che parte della stampa nazionale ha imputato al timore del premier di perdere consensi alla vigilia delle elezioni, c'è stata anche Al Jazeera, che ha ricordato la prima visita in pompa magna del ministro Gentiloni al Governo di Unità nazionale libico come un segno e un preludio del ruolo di leadership affidato all'Italia. L'arrivo del Ministro nel Paese fu in effetti spettacolare: a bordo di un aereo cargo C130 che trasportava tonnellate di beni di prima necessità, tra cui cibo e medicine. Allora, quell'approdo in grande stile nel tormentato Paese nordafricano sembrava quasi la promessa di un prossimo «salvataggio». Eppure, secondo Al Jazeera Roma guardava già da allora con un misto di speranza e preoccupazione alle mosse del nuovo esecutivo libico. Speranza e preoccupazione legate ai rischi che un intervento militare, per di più in gran parte sulle spalle del Belpaese, avrebbe comportato.
Prudenza o leadership
Il network arabo analizza con precisione le caute mosse di Roma, che ha scelto, nonostante l'offerta di un ruolo di leadership, la strada della diplomazia. Il tutto, con il costante tentativo del governo di «dribblare» sulla questione più controversa: che cosa avrebbe fatto l'Italia, se la strada della diplomazia si fosse rivelata un fallimento? Una questione di fatto rimasta a lungo ambigua, visto che, mentre l'ambasciatore americano John Phillips suggeriva che l'Italia avrebbe potuto mandare 5000 uomini in Libia, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ribadiva che, finchè fosse stato seduto sullo scranno di Palazzo Chigi, non avrebbe approvato «l'invasione con 5000 uomini». Una dichiarazione decisamente cristallina, anche se poi opportunamente moderata dal commento: «Se ci sarà la necessità di intervenire, l’Italia non si tirerà indietro». Ad ogni modo, secondo Al Jazeera, se anche le (prudenti) intenzioni dell’esecutivo erano già da allora evidenti, il governo non era ancora pronto a comunicarle esplicitamente ai partner e all'opinione pubblica.
Il tentativo di barcamenarsi
Così, Roma ha cercato di barcamenarsi tra due posizioni di per sé contrastanti: da un lato, offrendosi di guidare una eventuale missione Nato; dall’altro, spingendo per la soluzione diplomatica. Anzi, l’Italia ha più volte chiesto alle cancellerie alleate di limitare i propri interventi nel Paese finché non sarebbe stato direttamente l’esecutivo libico a richiederli, offrendo parallelamente a Serraj aiuti non militari. Ma il risultato, secondo Al Jazeera, non cambia: perché con lo Stato islamico in relativa avanzata in Libia e con un flusso migratorio alle porte, rimane poco chiaro come Roma intenda aspettare che il governo di Serraj riesca a stabilizzare da solo la situazione, prima di assumersi un impegno più proattivo. Anche perché nel frattempo Paolo Scaroni, ex amministratore delegato di Eni, si è lasciato sfuggire che «una Libia stabile è un sogno che non si realizzerà mai». Una profezia che, detta da uno che con il petrolio libico ha fatto affari, suona ancora più inquietante. Scaroni ha aggiunto: «Per mesi, forse per anni sentiremo il solito ritornello, che potremo intervenire solo se ce lo chiede il governo legittimo. Ma un governo solido ancora non si è visto. La Libia deve diventare una priorità italiana». Secondo l’ex ad di Eni, la comunità internazionale non dovrebbe più cercare di ricomporre l’unità della Libia, ma dovrebbe tentare di costruirsi un solido interlocutore a Tripoli, per poi supportare la creazione di entità regionali che un domani potrebbero federarsi.
I rischi della prudenza
Il governo italiano, però, la pensa diversamente. E, scrive Al Jazeera, mentre attende che Serraj riesca a ricomporre un’unità nazionale che ad oggi è una chimera, si è fatto «sorpassare» dagli alleati americani, francesi e inglesi, intervenuti nel Paese pur orfani della guida italiana. L’esegesi proposta dal network arabo del comportamento del nostro esecutivo è impietosa: Roma spera che, nonostante la sua cosmetica offerta di guidare una coalizione Nato, non sarà mai necessario farlo. Soprattutto, per la mancanza di un obiettivo strategico a lungo termine. Ma le conseguenze di tale prudenza potrebbero farsi presto sentire: con l’avanzata dell’Isis, una situazione politica incerta, cospicui interessi economici in ballo e migliaia di migranti pronti a sbarcare in Italia, il governo rischia di mostrarsi incapace di intraprendere e guidare un serio dibattito politico sulla questione. Un dibattito pubblico e parlamentare che sarebbe certamente una sfida enorme per l'esecutivo di Matteo Renzi. Il quale, non a caso, preferisce ancora rimandare.
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