28 marzo 2024
Aggiornato 13:00
Governo Renzi

Tutta l'Europa è con Renzi, meno l'Italia

Grasso boccia l'abolizione del Senato. Squinzi gli ha mandato a dire «meno parole più fatti». Brunetta afferma che non ha i soldi per le riforme. La Camusso sul lavoro è netta: «sbaglia radicalmente». La casta lo boccia, ma i sondaggi e la City lo premiano.

Se la partita dovesse dipendere dalle pacche sulle spalle, Matteo Renzi l’avrebbe già vinta alla grande rispetto ai suoi predecessori, Mario Monti ed Enrico Letta, nonostante la Merkel e compagnia anche a loro non avessero fatto mancare vistosi segni di incoraggiamento.
Non vi è dubbio infatti che l’accoglienza che sta ricevendo Renzi in queste prime settimane di regno nelle capitali che contano (oltre al feeling che si è immediatamente costituito a Roma con Obama) è di quelle possono essere definite «speciali», senza timore di avere esagerato.

Eco che ha detto di Renzi, uno dei trenta manager della City che il nostro Premier ha incontrato a Londra nel corso della sua visita al Primo ministro, Cameron: «La differenza con i suoi predecessori è enorme. Ho fatto tanti incontri simili con i premier italiani. Siamo sempre usciti con la sensazione che non sarebbe cambiato nulla. Matteo è diverso, non è un trombone come quelli che sono passati di qui negli ultimi 20 anni. La differenza con gli altri è il progetto di riforme a tutto campo. Una velocità che qui non avevamo mai visto. Se in Italia adesso arrivano soldi freschi qualcuno dovrebbe solo dire grazie Matteo», ha affermato Davide Serra, fondatore e amministratore delegato del fondo d'investimento Algebris.

Viene quasi da chiedersi se l’ex sindaco di Firenze ai suoi interlocutori europei abbia manifestato intenzioni che per ora non osa rendere pubbliche nel suo Paese.
Burocrazia elefantiaca, tasse esorbitanti, infrastrutture invecchiate, o addirittura obsolete, criminalità organizzata: cioè le palle al piede che negli ultimi venti anni hanno allontanato gli investitori stranieri, stanno ancora lì, e quindi non si spiega l’entusiasmo della City, a meno che non sia tutto fondato sull’ unico provvedimento effettivamente in rampa di lancio, la riforma del mercato del lavoro.

Come sia stata accolta dall’area più radicale della sinistra, con l’ex ministro Fassina in testa, è noto: alla riforma viene rimproverato di essere una fabbrica perenne di precariato. Anche il giudizio di Susanna Camusso non lascia spiragli interpretativi: «Renzi sul lavoro sta sbagliando di grosso», si è lamentata la leader della Cgil. Susanna Camusso anche in questa occasione ha confermato quella mancanza di leadership che ha contribuito a farne il bersaglio preferito di Maurizio Landini, segretario dei metalmeccanici di Corso d’ Italia. La Camusso infatti promuove Renzi quando si tratta di fare arrivare i famosi 80 euro in più in busta paga o quando il governo cala la scure sulle rendite finanziarie, ma poi non trova il coraggio di intavolare una trattativa con il Presidente del Consiglio, né quello per mandargli contro le sue truppe.

Da questo punto di vista, forse, a dovere impensierire Renzi, dovrebbero essere di più le parole del sindacato più vicino alla sua area. «Non è la flessibilità a produrre il lavoro. Il lavoro si ha attraverso gli investitori. Ma un investitore straniero o italiano di fronte ai costi dell'energia che sono esorbitanti, di fronte alle tasse che sono altissime, di fronte alle infrastrutture che non si gestiscono da troppo tempo ormai, di fronte a tutto quello che non va, perché dovrebbe investire in Italia? Questo è il punto», ha affermato Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, il quale non ha risparmiato una tiratina d’orecchi al premier: «Renzi - ha concluso Bonanni - si concentri su come rendere più favorevoli gli investimenti: Ed il sindacato, per quanto ci riguarda, farà la sua parte».

E così con il giudizio di Bonanni siamo tornati al punto di partenza sulla possibilità che possano essere le mani libere lasciate agli imprenditori e la debolezza contrattuale dei lavoratori a ridare slancio all’occupazione. Fino a quando la crisi avrà il sopravvento, probabilmente le osservazioni di Bonanni non fanno una piega. Ma nel momento che la ripresa diventasse consistente, allora lasciare le briglie sciolte alle aziende potrebbe veramente imprimere una svolta al mondo del lavoro. Per poterlo dire con una buona base di certezza basta andare indietro con la memoria a quando, in tempi di vacche grasse, una moltitudine di imprenditori affermava apertamente di rifiutare commesse che avrebbero potuto fare diventare più grandi le loro aziende, pur di restare sotto quel numero di occupati che era, ed è, fuori della giurisdizione dei sindacati nazionali.

Poi forse nella testa veloce, quanto pragmatica di Matteo Renzi, può forse avere fatto presa anche la convinzione che il rigore conservatore della Cgil non è riuscito finora a salvare nemmeno uno di quei tre milioni di posti di lavoro che mancano al bilancio delle famiglie italiane. E infine, con la disoccupazione giovanile quasi al 43 per cento, si sarà detto, è quasi impossibile fare peggio di chi ancora oggi sembra più ossessionato dal mantenere le proprie posizioni, e le proprie zone di influenza, che preoccupato dell’avvenire dei giovani.