28 agosto 2025
Aggiornato 02:30
Ora lo ammette anche l'FMI

Russia, la tenaglia occidentale ha fallito. Come Mosca ha superato la crisi, e beffato l'Occidente

Doveva essere piegata con le sanzioni economiche, ma Mosca è riuscita a stabilizzare inflazione e disoccupazione. E, per quanto possibile, rilanciarsi sullo scacchiere internazionale

Il presidente russo Vladimir Putin
Il presidente russo Vladimir Putin Foto: Shutterstock

MOSCA - Doveva essere piegata con le sanzioni economiche; è riuscita a stabilizzare inflazione e disoccupazione. Una lotta per sopravvivere e, per quanto possibile, rilanciarsi sullo scacchiere internazionale. La Russia sta superando un periodo economicamente complesso, imposto dalle potenze occidentali per ragioni geopolitiche. Finito il tempo del saccheggio del patrimonio pubblico dopo la caduta dell’impero sovietico, finito il tempo dell’ubriacone Eltsin che doveva chiedere il permesso all’amministrazione statunitense per qualsiasi atto politico, finito il tempo dell’allargamento della Nato verso Est, la Russia è riuscita ad avere un ruolo di primo piano strategico.

Una guerra a tratti grotteschi
E’ scattata così una guerra dai tratti grotteschi, per volontà statunitense, che ha indebolito l’economia russa e non solo: l’Italia, ad esempio, è tra i Paesi che maggiormente soffrono le sanzioni. La pressione che doveva portare al collasso del governo russo è stata esercitata sul prezzo del petrolio, abbattuto grazie alla superproduzione saudita. Il costo del barile è stato spinto fino a limiti insostenibili per tutti, fiduciosi che un’economia prettamente statale – almeno nel mercato delle materie prime – inducesse la Russia e il suo governo ad abbandonare la Crimea e l’Ucraina al loro destino, nonché la Siria di Assad. E magari riportasse il Presidente russo sulle orme di Eltsin, che vendette il patrimonio statale sovietico a mafiosi e speculatori occidentali ad un prezzo pari a un trentesimo del loro valore.

L'accordo tra Iran e Arabia Saudita
Il prezzo del petrolio, dimezzatosi in dodici mesi, ha però messo in crisi la stessa Arabia Sauduta, che ha dovuto affrontare un deficit senza precedenti, compensato da ingenti iniezioni di dollari provenienti dagli Usa. L’accordo sul prezzo del barile raggiunto la scorsa settimana tra Iran e Arabia Saudita dovrebbe sancire la fine del momento più duro. Non solo: ha creato una spirale deflattiva in Europa, minato l’economia dei Paesi sudamericani e messo fuori mercato lo shale oil statunitense.

L’economia ha resistito all’impatto
L’attacco ha esercitato una notevole pressione finanziaria nel Paese. La Russia è una superpotenza militare ed economica, ma risente ancora, nonostante le decuplicazione del Pil in dieci anni, del disastro post 1991, quando il Paese fu scaraventato, da un giorno all’altro, dentro un’economia di saccheggio. Devastazione acuita dalla crisi debitoria del 1998, dovuta all’impedimento di una svalutazione del rublo che ebbe, secondo Paul Stiglitz, effetti rovinosi. La risalita da una condizione simile, psicologicamente umiliante per quella che fu la seconda superpotenza mondiale, è innegabile, anche se continua a pagare l’ostracismo della comunità internazionale. La Russia paga soprattutto la volontà occidentale che vede come modello di governo mondiale il disequilibrio, connotato da un’unica superpotenza che impone la sua visione culturale.

Segnali positivi
Nonostante i terremoti finanziari, e per molti aspetti militari, che la Russia ha subito, alcuni segali positivi sono rilevati dagli analisti occidentali. «Abbiamo stabilizzato l'inflazione e la disoccupazione a un livello basso, mantenendo allo stesso tempo i nostri impegni sociali e la stabilità politica». Queste le parole del vice premier della Federazione russa, Arkady Dvorkovich, pronunciate durante la quattordicesima sessione del Consiglio italo-russo per la cooperazione economica, industriale e finanziaria.

Propaganda politica? Non proprio
Uscita meno ammaccata dalla crisi che ha colpito le economie occidentali, la Russia ha dovuto fare i conti con l’inflazione al 15%, oggi dimezzata, svalutazione del rublo, quasi del 60% rispetto al 2014, ed embargo economico. Un trattamento che avrebbe affossato chiunque. La risposta a queste difficoltà è stata molto decisa: la Banca centrale ha fatto cessare l'attività di 140 tra istituti di credito e banche nel 2015, mentre altre trenta sono state ricapitalizzate. Il settore sanitario ha subito tagli profondi, con la chiusura di centinaia di ospedali. Nel 2014, il Governo ha approvato la Legge Federale n. 488 e varato un «programma di sostituzione delle importazioni» soprattutto per ovviare all’embargo sui medicinali.

Fuga di capitali, svalutazione del rublo, semi-autarchia
La fuga di capitali dalla Russia, drammatica, è crollata da 153 miliardi di dollari a 58,1. Nel primo semestre del 2016 è stata pari a 10,5 miliardi di dollari rispetto ai 51,5 miliardi del primo semestre del 2015. Il debito estero totale della Russia è sceso da 733 miliardi di dollari del 2014 a 516 miliardi della metà del 2016. La svalutazione del rublo, unita alla spinta per i consumi interni, ha spinto la produzione agricola del 2,3%, chimica + 6,3%, petrolifera + 0,3%. I russi hanno iniziato una pratica ormai dimenticata in Occidente: hanno iniziato a produrre e consumare prodotti fabbricati in Russia: nel 2015 la quota delle importazioni di autoveicoli, ad esempio, è scesa di 22,5 punti percentuali. Stessa dinamica per i minerali metalliferi scesi di 4,5 punti, tessile - 7,8 %, e alimentari - 4,1 %.

L'ultimo baluardo dello Stato sociale all'europea
I volumi di investimento pubblici saliranno nel 2017 dal 20% del Pil al 22%. La produzione di medicinali, in mano a poche multinazionali in Occidente, è cresciuta del 26%. Bloccata la recessione, anche dei salari reali, gli economisti russi prevedono una sostanziale stabilizzazione di prezzi e occupazione nei prossimi due anni. Decisioni drammatiche, quelle prese dal Governo russo, ancora sostenitore di un’idea di Stato sociale all’europea, come ha dichiarato il presidente Vladimir Putin al colmo della crisi, che hanno evitato al Paese di tornare ai tempi di Gorbaciov-Eltsin.

I problemi rimangono, ma la situazione migliora
I problemi presenti sono riconducibili ad una polarizzazione della ricchezze ancora elevata, con l’aumento dei salari pari a 4,3% annuo a fronte di una crescita dei profitti d’impresa pari al 49%. In ogni caso nulla di riconducibile ai tragici anni Novanta. La Russia non è un Paese dove regna la giustizia sociale, ma nel tempo una massa enorme di cittadini è passata dalla povertà al piccolo benessere. E la stessa figura dell’oligarca, seppur ancora presente, è molto meno forte nella Russia di oggi. Senza tema di smentita si può affermare che, da un punto di vista economico, la redistribuzione della ricchezza in Russia, nonostante i problemi sopracitati, ha avuto uno sviluppo contrario a quanto avvenuto in Occidente.

Il futuro
Anche il Fondo Monetario Internazionale ammette, a malincuore visto che non è riuscito a imporre il solito trucchetto del prestito a strozzo, che la Russia si sta riprendendo dal doppio colpo sanzioni-prezzo del petrolio. Nel World Economic Outlook ha sottolineato che le condizioni finanziarie «risultano facilitate dopo che le riserve di capitale delle banche sono state sostituite con i fondi pubblici». Ripresa che dovrebbe riverberarsi, secondo l’Fmi, sull’intera Comunità degli Stati Indipendenti. Era prevedibile, anche al di là della tenaglia imposta dall’Occidente, un rallentamento dell’economia russa. Il Paese è passato da un Pil pari a 200 miliardi di dollari a oltre 2000 nel 2012, risultando quindi decuplicato. L’Occidente ama dipingere la Russia come un nemico, senza vedere le potenzialità di una collaborazione che sosterrebbe le nostre stagnanti economie.