Non solo Ttip. Ecco come (nel silenzio generale) anche il Ceta minaccia il mercato europeo
Si è parlato molto di Ttip, pochissimo di Ceta. Peccato, perché si tratta di un accordo di libero mercato tra Ue e Canada dai punti molto controversi. Che potrebbe entrare in vigore già nel 2017
NEW YORK - Abbiamo sentito parlare molto, negli ultimi mesi, del Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti tra Europa e Stati Uniti, i cui negoziati sono - tra alti e bassi - attualmente in corso. Abbiamo anche avuto modo di rilevarne tutte le criticità e le asimmetrie - chiaramente a svantaggio dell'Ue - dopo che Greenpeace ne ha veicolati all'opinione pubblica i contenuti più controversi. Molto meno, invece, abbiamo sentito parlare del Ceta, l'accordo di libero scambio tra Ue e Canada, che da ben cinque anni è sul tavolo delle cancellerie europee e che potrebbe essere a buon diritto ribattezzato come «il fratello minore del Ttip». E invece è il caso di parlarne: non solo perché entro un anno il trattato potrebbe entrare in vigore, ma anche perché la sua ratifica è considerata l'anticamera per l'approvazione dello stesso Ttip. Ma andiamo con ordine.
Che cos'è il Ceta?
L'accordo economico e commerciale globale è un trattato tra Ue e Canada che – si legge sul sito della Commissione europea – dovrebbe offrire «alle imprese europee nuove e migliori opportunità commerciali in Canada e sosterrà la creazione di posti di lavoro in Europa». Tra gli obiettivi, dovrebbero esserci l’abolizione del «99% dei dazi doganali e di molti altri ostacoli per le imprese», «rilanciare il commercio», «rafforzare le relazioni economiche» e «creare nuovi posti di lavoro». Non solo: ufficialmente, il Ceta dovrebbe anche contenere «tutte le garanzie necessarie per far sì che i vantaggi economici ottenuti non vadano a scapito della democrazia, dell’ambiente o della salute e della sicurezza dei consumatori». Il sito della Commissione dà anche la possibilità di accedere alla «versione consolidata di tutti i capitoli, degli allegati e delle dichiarazioni concordate con il Canada», nel pieno rispetto - si dice - della trasparenza. Eppure, non mancano associazioni e ong che, oltre a non essere assolutamente convinte dei «vantaggi» per il mercato europeo tanto sventolati, rilevano anche un’assoluta mancanza di trasparenza per quanto riguarda l’andamento dei negoziati.
A che punto sono i negoziati?
Negoziati che – riporta il sito della Commissione europea – ad ottobre dello scorso anno hanno fatto grandi «passi avanti», passi che hanno portato a terminare i lavori. Ad oggi, il testo non è ancora vincolante, e lo diventerà solo dopo un esame giuridico e il completamento del processo di ratifica. Tuttavia, l’indubbio avanzamento dei negoziati – che potrebbe far entrare in vigore il Ceta entro il 2017 – ha spinto le associazioni ad attivarsi per sensibilizzare l’opinione pubblica, prima che i giochi siano chiusi. Oltretutto, in queste ore si parla molto della controversa posizione del ministro dello Sviluppo economico italiano Carlo Calenda, che ha dichiarato il supporto dell’Italia per una gestione dell’accordo «EU-only», scavalcando cioè il voto dei singoli Parlamenti nazionali. Il tutto, ovviamente, con buona pace della democrazia. Così, se davvero si escluderà lo scrutinio delle Camere europee, a inizio luglio l’approvazione del Ceta necessiterà del sostegno solo di una maggioranza qualificata, e non più dell’unanimità degli Stati membri.
C’è trasparenza nei negoziati?
Oltre ai problemi di democrazia nelle procedure di approvazione, Greenpeace ha denunciato, un mese esatto fa, la sostanziale mancanza di trasparenza dei negoziati, visto che, nonostante i ripetuti appelli della ong, l’Ue ha respinto la richiesta di trasmettere in streaming i colloqui ministeriali sul Ttip e sul Ceta. E l’impossibilità, per i cittadini, di accedere alle informazioni – sostiene l’ong – è tanto più grave quanto più «il CETA potrebbe fungere da apriporta per le multinazionali e permettere loro di sfidare le norme Ue in tutti i settori, da quelle sul cibo a quelle sulla salute pubblica».
I punti controversi
In effetti, nonostante le rassicurazioni della Commissione, il Ceta vanta numerosi punti a dir poco controversi, che potrebbero minacciare la tutela dell’ambiente e della salute su entrambe le sponde dell’Atlantico. Tra le altre cose, l’accordo prevede, come nel caso del Ttip, un sistema di arbitrato privilegiato che potrebbe consentire alle multinazionali di citare in giudizio i governi, eludendo i sistemi giudiziari esistenti in Canada e nell’Unione europea. Il tutto, a vantaggio delle aziende canadesi ma anche delle multinazionali americane su territorio canadese, che sarebbero così facilitate a tutelare i propri interessi, a svantaggio dei cittadini e delle aziende locali. E sebbene non sia stato ancora ratificato, il Ceta sta già avendo effetti sugli standard europei: durante i negoziati, infatti, il Canada ha fatto pressione affinché l’Ue indebolisse gli standard sulle emissioni, per facilitare le esportazioni canadesi di petrolio ottenuto da sabbie bituminose, il combustibile più inquinante al mondo.
Un precedente che dovrebbe allertarci
Per avere un’idea più precisa di quali ripercussioni potrebbe avere il Ceta qualora venisse ratificato, basti pensare al Nafta, l’accordo di libero scambio siglato tra Canada e Stati Uniti. Un accordo che prometteva una rapida crescita economica e un aumento dei posti di lavoro, ma che – come ha raccontato al parlamento Ue Sujata Dey, rappresentante del Consiglio dei canadesi – ha di fatto triplicato i salari dei manager e fatto aumentare la disoccupazione. Si prenda il caso della società Caterpillar, dall’Ontario delocalizzata negli Usa e poi in Messico. Il risultato sono stati 350.000 posti di lavoro persi nel settore manifatturiero. Senza contare che il Canada è diventato uno dei Paesi più citati nei tribunali arbitrali, e solo per l’ottima abitudine di osservare garanzie democratiche e ambientali dagli standard, per gli Usa, troppo elevati. Secondo Pierre Souci, presidente del Consiglio affari sociali del Quebec, fino ad ora sono stati spesi 135 milioni di euro in risarcimenti. Per non parlare, poi, degli effetti disastrosi sul piano agricolo, dove – secondo quanto riferito da Souci – il Canada avrebbe perso il 30% delle proprie imprese agricole, «perchè l'accordo aumenta la produzione e questo è propizio per le grandi, non per le piccole».
Perché dire «no» al Ceta
Se nel caso del Nafta la «parte debole» è stata il Canada, in questo caso – come per il Ttip – sarebbe certamente l’Europa. Solo per fare un esempio, nel gigante nordamericano si usa spesso la ractopamina, steroide utilizzato negli allevamenti suini e vietato in oltre 160 Paesi, ma anche pesticidi sistemici e ormoni nella carne bovina: tutti prodotti nocivi per la salute, a cui l’Ue dovrebbe fare l’abitudine nel caso di una ratifica dell'accordo. Non solo: il Canada è uno dei più grandi produttori di Ogm, rigorosamente senza etichettatura. E se già Bruxelles dà non poco filo da torcere all’eccellenza del Made in Italy, provate a pensare cosa potrebbe accadere se a remare contro fossero anche Stati Uniti (con il Ttip) e Canada (con il Ceta). Un'autentica catastrofe.
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