29 marzo 2024
Aggiornato 15:30
Si moltiplicano le inchieste sui dubbi rapporti tra Ankara e i jihadisti

Se tra Erdogan e l'Isis è amore-odio

Mai come nelle ultime settimane, Ankara si trova al centro delle intricate dinamiche geopolitiche mondiali, per il suo ruolo in Siria, nella crisi migratoria e nella lotta all'Isis. Eppure, la linea seguita dal «sultano» Erdogan è decisamente controversa...

ANKARA – Si riuniranno oggi a Bruxelles i leader del Consiglio europeo per parlare di immigrazione e, soprattutto, per cercare una strategia da tenere con il presidente turco Tayyp Recep Erdogan, divenuto ormai fondamentale per l’Ue nel controllo dei flussi migratori. Delle difficoltà sottese alle trattative avevamo già parlato: oltre alla possibilità che l’Europa rilasci più agevolmente visti per i cittadini turchi, sul tavolo delle trattative, seppur «nascosto» all’opinione pubblica, giacerebbe molto altro. In primis, l’appoggio del Vecchio Continente per aprire una no-fly zone in Siria, per Erdogan estremamente importante per almeno due ragioni: da un lato, impedirebbe che le milizie curde siriane avanzino da est fino alle enclavi curde a nord di Aleppo, prendendo il controllo di tutto il confine turcosiriano; dall’altro – si mormora – garantirebbe le linee di rifornimento ai gruppi jihadisti tacitamente sostenuti da Ankara. Del resto, l’ambigua politica di Erdogan nei confronti dello stesso Stato islamico, prima indirettamente supportato e poi «attaccato» per dissimulare la ripresa del conflitto con il Pkk curdo, non è decisamente un mistero. Certo, la situazione appare particolarmente ingarbugliata: perché, proprio mentre il governo di Ankara annuncia di avere le prove che i due attentatori del 10 ottobre siano affiliati all’Isis, si moltiplicano i sospetti che la Turchia con una mano bombardi i terroristi, e con l’altra continui a supportarli.

Indizi e sospetti
C’è addirittura chi, come Fuatavni, «gola profonda» che in passato ha anticipato diversi piani del governo, sostiene che lo stesso attentato di Suruç sia stato sì realizzato da cellule dello Stato islamico, ma che queste ultime fossero controllate dal direttore del servizio segreto turco (Mit) Hakan Fidan, fedelissimo di Erdogan. Il piano sarebbe quello di far precipitare il Paese nel caos, per guadagnarsi i voti dei conservatori e degli indecisi all’ormai prossimo appuntamento elettorale del primo novembre, in cui l’aspirante «sultano» intende giocarsi il tutto per tutto. D’altra parte, il repentino cambio di strategia deciso in estate con l’Isis nel giro di 48 ore potrebbe essere in parte riconducibile alle indiscrezioni trapelate da The Guardian, che rivelavano le sospette collusioni tra alti funzionari turchi e importanti membri  dello  Stato islamico, a base di  transazioni  finanziarie e accordi  riguardanti la  vendita di petrolio dall’Is alla Turchia. Non solo: un video del Daily Mail pubblicato lo scorso anno avallava il sospetto di controversi contatti tra Ankara e l’Isis, mostrando militanti dello Stato islamico chiacchierare tranquillamente con un gruppo di guardie di confine turche vicino alla città di Kobane.

Per i curdi è tutto chiaro
Ad aggiungere sospetti ai sospetti, l’inchiesta di Rainews24 di Gian Micalessin dalla città siriana di Qamishli, assediata dall’Isis e al confine con la Turchia. Il generale delle milizie curde Kadil mostra al giornalista una piastrina di un soldato turco, rinvenuta in una base dell’Isis, a 80 km dal suo confine in territorio siriano.  Secondo il generale, Ankara, che per lungo tempo ha appoggiato Al Nusra, ora sostiene l’Isis: non sarebbe un caso che su tutti i passaporti requisiti ai terroristi spicchi il timbro dell’aeroporto di Istanbul. Consultando i registri dei combattenti, inoltre, sono molti quelli che vengono dalla Turchia (oltre che dall’Arabia Saudita): a confermarlo anche alcune carte d’identità recuperate dai combattenti curdi nel covo dei terroristi. L’accusa è chiara: «Il ruolo di Ankara è immenso: sperava di capovolgere Assad, ma ha fallito e tutto questo avrà gravi ripercussioni su tutta la Turchia», dichiara Kadil al giornalista.

Erdogan vuole farsi Califfo?
Un caso? Chissà. Di certo, che il ruolo di Erdogan, nella vicenda, sia da sempre poco chiaro è sotto gli occhi di tutti. E lo è soprattutto ora che, con le sue aspirazioni superpresidenziali, il «sultano» si incammina all’appuntamento del primo novembre con un asso nella manica: le «trattative» aperte per la crisi dei profughi con l’Unione europea. Quello potrebbe essere il tavolo giusto per segnare qualche punto a suo favore: raccogliere consensi in opinione pubblica e potenziale sostegno (o perlomeno tolleranza) sulla Siria e sui curdi. L’obiettivo finale, però, sarebbe ben più maestoso: resuscitando le antiche glorie del passato ottomano, fare della Turchia l’ombelico del mondo sunnita, di cui il Califfato è ormai diventato uno dei rappresentanti. E chissà che, quando l’Isis non ci sarà più, non sia lo stesso Erdogan a volersi fare Califfo del nuovo stato sunnita...