20 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Germania

Vogliamo davvero vedere la Merkel Nobel per la Pace?

Come il tabloid tedesco Build ha rivelato, la Merkel è uno dei papabili vincitori del Nobel per la Pace, principalmente (dicono) per la sua gestione della crisi migratoria. Eppure, noi in proposito abbiamo qualche riserva. Ecco perché

La Cancelliera tedesca, Angela Merkel
La Cancelliera tedesca, Angela Merkel Foto: ANSA

BERLINO – All’inizio poteva sembrare una boutade. E invece, la «premonizione» della testata tedesca Build a proposito della possibile attribuzione del Premio Nobel per la Pace ad Angela Merkel si è rivelata decisamente seria. Secondo il tabloid più letto di Germania, la cancelliera tedesca avrebbe ottime possibilità di ricevere il premio, per la sua gestione della crisi migratoria (oltre che di quella ucraina). «Sì, ha ottime chance», ha confermato Kristian Berg Harpviken, direttore dell'Istituto di ricerca sulla pace (Prio) di Oslo. «Lei ha dimostrato ottime qualità morali di guida in un momento critico», ha aggiunto. «Credo che la crisi europea dei rifugiati - che dovrebbe essere definita una crisi mondiale poiché si verifica in modo altrettanto drammatico anche nel Sud-est asiatico - richiamerà l'attenzione del comitato Nobel quest'anno».

Scontro tra titani
Solo venerdì sapremo se la cancelliera di Germania verrà insignita di tale premio, ma di certo la sola eventualità che ciò possa accadere suscita non poche perplessità. Non che quella della Merkel sia l’unica candidatura «controversa»: in lizza, ci sono anche i nomi di John Kerry, segretario di Stato Usa, e di Mohammad Zarif, ministro degli Esteri iraniano, per il raggiungimento dell’intesa sul nucleare – e siamo certi che anche una loro eventuale vittoria scatenerebbe malumori e polemiche –. D’altra parte, il nome della Merkel si scontrerà con veri e propri «colossi», come lo stesso Papa Francesco (per il suo apporto alla rappacificazione Usa-Cuba), l’Unhcr, Alto consiglio Onu per i rifugiati da sempre in prima linea nelle zone più calde per gestire l’emergenza profughi, o il ginecologo congolese Denis Mukwege, nei radar della commissione per il Nobel molte volte per il suo lavoro con le vittime di violenza sessuale nella Repubblica democratica del Congo. Insomma, siamo sicuri che la cancelliera abbia davvero le carte in regola per ottenere un così alto riconoscimento?

Meriti e demeriti
Di certo, con lo scandalo Volkswagen ad appannarne la credibilità e l’emergenza profughi ad alienarne i consensi in patria, il Nobel, per lei, sarebbe una vera e propria manna dal cielo. Eppure, è difficile nascondere le perplessità che una simile candidatura suscita. Partiamo pure dal motivo principale per cui riceverebbe il premio, la gestione dell’emergenza migratoria. E’ vero che la Germania ha fatto da apripista nel dettare all’Europa una politica di «accoglienza» (manchevole ancora però – lo sottolineiamo – di interventi strutturali e sostanziali), ma è anche vero che tale scelta è stata dettata, più che da un autentico spirito di solidarietà, da motivazioni pragmatiche che molte volte abbiamo sottolineato. Non solo: poco dopo aver «spalancato le porte» ai siriani, la Germania ha improvvisamente annunciato la sospensione di Schengen, anche in questo caso per un preciso calcolo politico. C’è anche da sottolineare come Berlino si sia accorta da pochissimo di una crisi che durava da molto tempo, e davanti alla quale l’Italia ha più volte chiesto aiuto all’Europa. Non ci risulta che, quando da soli lanciammo l’operazione Mare Nostrum (quella sì, forse, che meriterebbe il Nobel), la Merkel fosse al nostro fianco: tutt’altro. Infine, quella Germania che oggi accoglie è la stessa che, di concerto con gli altri leader europei, è impegnata nella controversa missione anti-scafisti: una missione che, più che puntare a risolvere le cause alla «radice» che spingono i profughi alla partenza, tenta di alienare loro l'unica «via di fuga», senza contemporaneamente aprire alternative legali e sicure di arrivo per gli aventi diritto. Oltretutto, la missione è ambigua anche sul piano del diritto internazionale, perché rischia per violare, con le armi, le acque nazionali libiche.

Crisi greca: che macchia sul curriculum di un «Nobel»...
Ma è soprattutto la gestione della crisi greca che è difficile da dimenticare. Quella condotta severa e spregiudicata da parte di Berlino, che sin da subito mirava a indebolire la posizione di Tsipras per renderlo l’ennesima innocua marionetta dell’austerity, con il Nobel per la Pace stride violentemente. Di fronte a un Paese a pezzi, con una crisi economica prossima a diventare umanitaria, la Merkel e il suo braccio destro Schauble non ci hanno pensato due volte a imporre la linea dura, peraltro sapendo che Atene, accettandola, sarebbe finita ancora più nel profondo del baratro. E’davvero questa la condotta che ci aspettiamo da un Nobel per la Pace? In più, lo scandalo Volkswagen non fa altro che allungare la lista delle ragioni che rendono ambigua tale candidatura.

Angela come Barack (e tanti altri)?
E’ indubbiamente vero che tante, nella storia dei Nobel, sono state le assegnazioni controverse. Tra le più recenti, si ricordi quella «sulla fiducia» al neo-eletto presidente Usa Barack Obama, poi sconfessata nei fatti, o quella all’Unione europea nel 2012, un anno dopo la rocambolesca avventura libica e con tutti i limiti che ne rendono zoppicanti e spesso iniqui i meccanismi. Di precedenti, insomma, ce ne sono molti. Ma dopo il Nobel per la Pace 2014 assegnato a Malala Yousafzai, giovanissima e coraggiosissima attivista pakistana che si oppose ai talebani, battendosi strenuamente per il diritto all’istruzione, quello stesso premio in mano alla Merkel proprio non lo vorremmo vedere.