24 aprile 2024
Aggiornato 04:30
Dopo le elezioni polacche e spagnole

L'irresistibile ascesa degli euroscettici

Polonia e Spagna: gli ultimi Stati espugnati dagli euroscettici. La vittoria dell'ultranazionalista Duda è un segnale chiaro: un nuovo fronte di indignati anti-establishment, anti-casta e, soprattutto, anti-Europa, delusi dalla politica nazionale ed europea fa tremare, da Nord a Sud, il Vecchio Continente

CRACOVIA – Per gli «eurofili», le scorse 48 ore sono state amare: a trionfare, in Spagna e Polonia, sono state forze tecnicamente opposte sullo scacchiere politico, ma sostanzialmente assimilabili. Perché l’estrema sinistra e l’estrema destra, populiste entrambe, finiscono per sfiorarsi, e principalmente su un punto: l’euroscetticismo. In principio, fu Alexis Tsipras in Grecia. Poi, la rielezione di Cameron: una conferma dell’establishment, sì, ma ben salda sulle basi della critica all’Ue e della rinegoziazione dei termini di appartenenza ad essa. Quindi, la Spagna, con la rivoluzione di Podemos; infine, la Polonia, con la vittoria del giovane avvocato Andrzej Duda, ultranazionalista di destra e decisamente poco fan dell’Unione.

Insofferenza anti-establishment e anti-Europa
Destra o sinistra, conta poco: ciò che conta è che sempre più Paesi stanno scegliendo di schierarsi con chi, in un modo o nell’altro, vive gli interessi «europei» come rigorosamente contrapposti a quelli genuinamente nazionali. Non solo: a prevalere è stata anche l’insofferenza verso le trite politiche della vecchia classe dirigente. In effetti, la Polonia è stata uno dei pochi Paesi europei a crescere incessantemente negli ultimi 25 anni, e l’unico a evitare la recessione. Una democrazia giovane, ma stabile, sempre più vicina all’Europa Occidentale, anche se non ancora pienamente partecipe dei suoi standard di benessere. Perché, allora, i polacchi hanno votato per il cambiamento? Il presidente uscente Bronislaw Komorowsk,  asserragliandosi dietro ai rassicuranti dati economici, sembra aver sottovalutato i segnali di malcontento. Un malcontento testimoniato anche dalla visibilità acquisita da nuove forze politiche, partiti sganciati dalle comuni ideologie e dai maggiori filoni di pensiero europei, buoni collettori del risentimento anti-establishment.

Il magma di indignati è giunto anche in Polonia
Secondo Pierluigi Menniti di RassegnaEst, a condurre Duda alla vittoria sarebbe stata la riscossa di «un centro sociologico più che politico, non moderato, tendenzialmente giovane, urbano e assolutamente refrattario a vecchie ideologie. Una componente moderna», comune «a tanti paesi dell’Europa occidentale, allo stesso tempo frutto del benessere conseguito in questi anni dalla Polonia e dell’inevitabile diseguaglianza con cui si è spalmato sulla società». Un magma di istanze che unisce apolitici, scontenti, indignati anti-casta, e, ovviamente, anti-Europa. Istanze anche contraddittorie da loro, ma che spesso trovano una risposta nei partiti «di rottura» nemici dello status-quo e vicini alla «pancia» della gente. Così, nonostante 25 anni di crescita economica, Duda ha vinto sulla promessa di decisive riforme sociali e con l’idea di frenare il processo di avvicinamento della Polonia all’adozione dell’euro.

Lontani i sogni di Altiero Spinelli
Un segnale inequivocabile – scrive The Guardian – dello slittamento politico della sesta maggiore economia europea, di un Paese capace di influire, pur dall’esterno dell’Eurozona. Uno Stato che, facendosi principalmente promotore degli interessi nazionali, potrebbe condizionare le relazioni con gli altri Paesi. Di certo, un segnale  che sulla strada della costituzione di quel «potere democratico europeo» che Altiero Spinelli si proponeva di realizzare, spirano, da tutto il Continente, venti fortemente contrari.