25 aprile 2024
Aggiornato 19:30
Crisi banche venete

La fine delle banche popolari: un voluto disastro che si aggiunge al disastro

Prestare denaro anche in assenza di quei parametri umani che dovrebbero garantire le redditività del capitale. Se questo sistema è diventato marcio, e ingestibile, sarà un perdita grave per l’intera economia italiana

Carlo Messina, CEO di Intesa Sanpaolo, e Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, durante l'assemblea ordinaria degli azionisti per l'approvazione del bilancio 2016 presso il grattacielo della Banca Intesa Sanpaolo, Torino
Carlo Messina, CEO di Intesa Sanpaolo, e Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, durante l'assemblea ordinaria degli azionisti per l'approvazione del bilancio 2016 presso il grattacielo della Banca Intesa Sanpaolo, Torino Foto: ANSA/ALESSANDRO DI MARCO ANSA

ROMA - Ci ha pensato la Borsa di Milano a dire se l’acquisto, per modo di dire, da parte di Intesa Sanpaolo di due banche ex popolari, Popolare Vicenza e Veneto Banca, sia stato o meno un affare: + 3,5%. Questo il rialzo del titolo della più importante banca italiana ieri. Con scambi massicci, che hanno fatto passare di mano quasi il 2% del capitale sociale. Il mecenatismo, anzi lo spirito di sacrificio di cui parlano i massimi dirigenti di Intesa, trova la giusta dimensione, e il giusto valore, in questo stupefacente risultato finanziario. Basti ricordare che a dicembre, quando Intesa tentò di scalare Generali con un’offerta tanto sgangherata quanto ostile, il titolo ebbe un tracollo del 20% in due settimane. Ma quella era un’operazione finanziaria, mentre questa sulle ex popolari è un’operazione per salvare il paese e i risparmiatori. Come no. Vincenzo Consoli, ex capo di Veneto Banca, ha ammesso che ci sono stati degli errori, ma poi ha sostenuto che «le vere cause del disastro sono altre». Quando si parla di banche popolari il tono della polemica si deve maneggiare sempre con estrema cautela: perché si tratta di un mondo antico, nobile, che di fatto ha costruito l’Italia che conosciamo. Qualcosa che non ha più relazione con il mondo attuale indubbiamente, ma era ricco di valori e non solo di valore.
Anche perché la vicenda, in realtà, è molto più complessa di quanto si voglia far credere, e questo a partire da un dato di fatto: le nuove normative della Bce, risalenti al 2013, rendono la vita molto complicata a quelle che, un tempo, sono state le banche del territorio. 

A chi sono stati conferiti prestiti allegri che poi si sono trasformati in crediti deteriorati?
Ma molti punti oscuri, per altro oggetto di più indagini penali, sono in essere, uno su tutti: a chi sono stati conferiti prestiti allegri che poi si sono trasformati in crediti deteriorati? A questo dubbio, Consoli risponde che nessuno ha realmente capito la reale portata della crisi in Italia e in particolare nel Veneto. Forse è l'unica cosa su cui ha ragione. Aggiunge, in una recente intervista rilasciata al Gazzettino: "Una banca popolare ha esattamente questo scopo: andare al di là degli algoritmi e affrontare l’erogazione del credito sul piano umano». Non sappiamo se queste parole celino la vera ragione del disastro: deciderà la magistratura che sta indagando. Indubbiamente corrispondono alla missione che hanno le banche popolari sul territorio. Ovvero prestare denaro anche in assenza di quei parametri umani che dovrebbero garantire le redditività del capitale. Se questo sistema è diventato marcio, e ingestibile, sarà un perdita grave per l’intera economia italiana. Per questa ragione la dirigenza delle due banche venete è ancor più responsabile: non solo per il danno economico inflitto ai risparmiatori, e ora a tutti gli italiani che devono subire la ricapitalizzazione statale, ma anche perché mettono in gravissima crisi un sistema bancario che è stato l’architrave della piccola imprenditoria. Siamo di fronte a due mondi che si scontrano: quello antico, che ovviamente si è macchiato di enormi colpe che hanno portato alla dilapidazione del risparmio di un intero territorio, e quello perfetto, nuovo, moderno, asettico, privo di rischi e meritocratico: quello di matrice protestante e tedesca. Un nuovo tipo di credito che premia la grande industria pesante, quella che in Italia è scomparsa. Chi penserà quindi al piccolo imprenditore del territorio che tenta la fortuna? I mega gruppi bancari che stanno divorando gli istituti minori? Un vero disastro, sotto ogni punto di vista.

Dal Giappone una piccola storia
L’amministratore delegato della Takata, una multinazionale giapponese specializzata nella produzione di componenti per automobili, Shingehisa Takada, ieri si è inchinato durante una conferenza stampa: in questo mondo, tipicamente giapponese, ha domandato scusa per la bancarotta che ha coinvolto il suo gruppo, causata dal mal funzionamento di centinaia di migliaia di airbag venduti dalla Takata in tutto il mondo. L’amministratore delegato ha incominciato il suo intervento domandando «perdono dal profondo del mio cuore». Al di là dell vicenda economica, e penale, che coinvolge Shingehisa Takada, quello che fa impressione è l’immagine di un uomo potentissimo, ricchissimo, che domanda scusa a capo chinato per gli errori commessi: con lui, ovviamente, ha domandato scusa l’intero consiglio di amministrazione . La notizia che giunge da Giappone non trova molto spazio sui media italiani, di solito così attenti ai pittoreschi fenomeni stranieri, nel giorno in cui Intesa Sanpaolo fa un buon affare. Quello che sorprende, e lascia sconcertati, è invece la mancanza di relazione con le realtà della classe dirigente italiana. Che risulta ancora più evidente oggi di fronte alle umilianti immagini di scuse pubbliche che giungono dal Giappone.