19 aprile 2024
Aggiornato 05:00
sono a rischio fallimento

Bail-in, le tre banche italiane che fanno tremare Bankitalia. E soprattutto i correntisti

Le tre spine nel fianco di Bankitalia sono la Cassa di Risparmio di San Miniato, quella di Rimini e la Cassa di Risparmio di Cesena, che presentano corposi conti in rosso. Ecco perché il problema dell'asimmetria informativa rischia di trasformare il bail-in in una "spettacolare ingiustizia"

ROMA – E' iniziata l'era del bail-in. D'ora in poi spetterà agli azionisti e ai correntisti far fronte al salvataggio delle banche in difficoltà, non più allo Stato. Per questa ragione, nessuno può più permettersi di sottovalutare i campanelli d'allarme che giungono dalle province più remote del sistema bancario italiano. E nel mirino di Bankitalia ci sono già tre istituti di credito che navigano in pessime acque.

Le tre spine nel fianco di Bankitalia
A preoccupare l'inquilino di Palazzo Koch sono la Cassa di Risparmio di San Miniato, quella di Rimini e la Cassa di Risparmio di Cesena. Con l'introduzione delle nuove normative sul bail-in, infatti, allo Stato non è più permesso di intervenire per salvare gli istituti di credito in difficoltà e qualora queste tre banche dovessero fallire, a pagare saranno nell'ordine gli azionisti, gli obbligazionisti e infine i correntisti. Un pessimo scenario dopo i trascorsi del 2015, che hanno già fagocitato i risparmi di 135mila famiglie italiane, e Bankitalia non può permettersi un altro casus belli.

I conti in rosso delle tre banche in difficoltà
Perciò le tre banche pericolanti navigano a vista, sotto l'occhio vigile di Ignazio Visco. E la ragione è molto semplice: non godono affatto di ottima salute. La Cassa di Risparmio di San Miniato ha chiuso il 2015 con un rosso da 67,6 milioni di euro. La Cassa di Risparmio di Rimini ha salutato il 2015 con 38 milioni di euro di perdite. E la Cassa di Risparmio di Cesena era in perdita a metà dello scorso anno per 37 milioni di euro, ma non siamo in possesso dei dati relativi al secondo semestre. Complessivamente, per rafforzarsi patrimonialmente e tirarsi fuori dalle sabbie mobili del fallimento, i tre istituti dovranno chiedere al mercato fra i 250 e i 300 milioni di euro.

Chi paga con il bail-in
Ma dove troveranno i soldi necessari? Per il momento, l'unica banca dotata di una ciambella di salvataggio sembra essere la Cassa di Risparmio di Cesena. L'istituto ha ottenuto la disponibilità del Fondo Interbancario di tutela dei depositi (Fitd) a sottoscrivere la sua ricapitalizzazione, stimata fra i 100 e i 150 milioni di euro, e il prossimo 8 giugno il nuovo Cda dovrebbe approvare il bilancio definitivo, il piano industriale fino al 2020 e l'aumento di capitale. Per quanto riguarda, invece, le altre due banche, il loro destino appare piuttosto incerto. Il loro eventuale fallimento potrebbe ricadere sulle spalle dei cittadini: i primi a pagare di tasca propria, partecipando alle perdite, sarebbero gli azionisti, poi i detentori di obbligazioni e infine i clienti che possiedono un conto corrente superiore ai 100.000 euro.

Una spettacolare ingiustizia
Se dovesse capitarvi di storcere il naso di fronte a un simile scenario, sappiate che non siete i soli. Secondo Giulio Sapelli, professore ordinario di storia economica all'Università statale di Milano, infatti, il bail-in è, né più né meno, una«spettacolare ingiustizia». E vi spieghiamo perché: sebbene il bail-in abbia un nobile fine, cioè quello di responsabilizzare la governance delle banche al fine di evitare altri crac finanziari, presenta delle criticità capaci di compromettere in partenza la sua mission. Le norme in vigore prevedono che gli azionisti saranno i primi a pagare per l'azzardo morale dell'istituto, ma sarà davvero così?

Il problema dell'asimmetria informativa
Come ci spiegano Dario Guarascio e Leopoldo Nascia nell’articolo pubblicato sul sito di sbilanciamoci.info, è difficile credere che i grandi azionisti (quelli che prendono le decisioni più importanti) si comporteranno come capitani valorosi di una nave: assumendosi in prima istanza la responsabilità delle perdite della loro banca e affondando con essa. Costoro, infatti, spesso coincidono con il management dell'istituto e per questa ragione sono generalmente molto ben informati sulla natura e l'andamento di tutti gli investimenti in essere. Si avvantaggiano, così, di una serie di informazioni riservate che permetterebbero loro di «salvarsi» tempestivamente disinvestendo al momento opportuno, qualora ce ne fosse bisogno. Come avevamo già sottolineato quasi un anno fa, se la banca in questione affonda come il Titanic, non sarebbero loro a far la fine dei topi. Ma i meno informati e meno colpevoli: obbligazionisti e comuni correntisti.