20 aprile 2024
Aggiornato 11:30
Non la pagherà neppure chi è in affitto

Abolire la TASI? Chi ci guadagna e chi no

Si tratta di una mossa politicamente ineccepibile. Ma l'Italia non avrebbe forse bisogno di qualcosa in più? Ecco perché

ROMA - L'annuncio del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di voler procedere all'abolizione delle tasse sulla prima casa ha acceso un vivace dibattito politico-economico. Di certo è un'abile mossa politica, perché per gli italiani – si sa – la casa è più di una dimora: è un valore, un bene rifugio, un conforto psicologico. Togliere le tasse sulla casa è un po come far fare l'inchino alla Costa Concordia in quel dell'isola del Giglio per conquistarsi il favore di coloro che hanno pagato il viaggio, in modo che restino sulla giostra anche per il successivo. Ma da un punto di vista economico la scelta del governo solleva forti perplessità, e c'è da sperare che la manovra non ci faccia finire incagliati su uno scoglio in mezzo al mare.

Le finalità politiche di Renzi
Sulle motivazioni politiche c'è poco da dire. Basta ricordare che, ben prima di Matteo Renzi, questa mossa politica ha un precedente illustre: Silvio Berlusconi riuscì a vincere le elezioni contro il centro-sinistra per ben due volte, conquistandosi il favore popolare grazie alla promessa di abolire prima l'Ici e poi l'IMU. Tuttavia, le ragioni economiche di una siffatta scelta lasciano piuttosto a desiderare. Da un lato è certamente vero che detassare la componente più importante del patrimonio degli italiani potrebbe indurli a comportamenti virtuosi per rilanciare l'economia reale: comprare più case (dando ossigeno all'edilizia), o incrementando la spesa per beni e servizi. L'effetto «annuncio» di questa manovra fiscale ha di per sé un impatto positivo sulla fiducia degli italiani. Tanto più che il governo ha ritenuto di voler includere nella detassazione perfino le 44mila abitazioni di lusso, adibite a prima casa, presenti sul territorio nazionale.

Le criticità economiche
Tuttavia, la scelta del governo presenta forti criticità da un punto di vista squisitamente economico. Innanzitutto, la manovra sembra avvantaggiare soprattutto due categorie di persone: i più ricchi e i più anziani. L'imposta sulla prima casa, infatti, è legata al valore del patrimonio immobiliare che è correlato positivamente al reddito e al patrimonio famigliare. A risparmiare di più saranno soprattutto i proprietari delle abitazioni di lusso (si parla di migliaia di euro di risparmio l'anno per i proprietari di castelli, per la fattispecie), a fronte dei 200 euro di risparmio l'anno calcolati per una famiglia «tipo» con un'abitazione modesta. Ma c'è di più: la maggior parte dei giovani – il vero anello debole dell'economia nazionale – sarà completamente estranea a questo vantaggio fiscale, perché non possiede una casa di proprietà. Si tratta di una manovra sbilanciata a favore dei redditi più elevati e a sfavore delle nuove generazioni.

I rischi impliciti della manovra fiscale
Invece di abolire del tutto l’imposta sulla prima casa, allora, sarebbe stato più sensato ridurla e accompagnarla piuttosto ad altre riduzioni fiscali fondamentali per l'economia del paese: come quelle che riguardano i fattori produttivi, ad esempio, ed il lavoro in primis. Proprio come ci aveva suggerito Bruxelles. Con i soldi risparmiati, infatti, si potrebbe finanziare la decontribuzione per i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato. Ma c'è dell'altro. Per eliminare IMU e TASI servono circa 4,4 miliardi di euro e il rischio di creare un'altra voragine nei conti pubblici è dietro l'angolo. Il pericolo è quello di scaricare il costo della manovra fiscale in un mancato trasferimento ai Comuni del gettito di tali imposte. In tal caso il taglio delle tasse sulle abitazioni principali potrebbe tradursi in un forte incremento del carico fiscale sulle seconde case e sugli «altri fabbricati», con effetti inevitabilmente depressivi nei settori produttivi interessati dal provvedimento.

Di cosa avremmo bisogno
Il professor Alessandro Volpi, in un articolo pubblicato su www.altraeconomia.it, ci ricorda che le «persone non fisiche» sono titolari di poco meno del 38% dei 5,1 milioni di unità immobiliari non residenziali e pagano il 71% del valore fiscale. Perciò, un inasprimento della pressione fiscale in tale direzione avrebbe conseguenze negative per tutta l'economia nazionale. Se l'abolizione di IMU e TASI non venisse compensata dal governo con altrettanti trasferimenti agli enti locali, l'effetto leva propagandato dall'Esecutivo si tradurrebbe invece in una redistribuzione opinabile delle risorse economiche nazionali, probabilmente dai ceti più bassi a quelli più elevati. Certo, si tratta di una mossa politicamente ineccepibile. Ma l'Italia non avrebbe forse bisogno di qualcosa in più?