29 marzo 2024
Aggiornato 12:30
Sangalli denuncia: la crisi ha approfondito il divario tra Nord e Sud

Confcommercio: 2014 annus horribilis per il Mezzogiorno

Si studia sui libri di storia; eppure, la questione meridionale è drammaticamente all'ordine del giorno. La denuncia del presidente di Confcommercio, secondo cui la crisi nel 2014 ha approfondito il divario Nord-Sud, è confermata da dati a dir poco scoraggianti. In quasi tutto il Sud, oltre il 40% della popolazione vive nel disagio economico, e le conseguenze sono denatalità ed emigrazione.

ROMA – La «questione meridionale» si studia nei libri di storia, ma continua a rimanere drammaticamente all'ordine del giorno. L’ennesimo allarme del divario tra Nord e Sud d’Italia è stato lanciato, pochi giorni fa, dal presidente di Confcommercio Carlo Sangalli. Un divario che, nel corso del 2014, si è addirittura approfondito a causa della crisi che ha dilaniato il nostro Paese, per Sangalli «la più profonda [...] dal dopoguerra a oggi». Un divario «in crescita anche nel 2014, dove nel Mezzogiorno il Pil si è ridotto dell'1,2% contro il -0,4% nazionale, i consumi sono scesi dello 0,1% mentre in Italia sono cresciuti dello 0,3%, le imprese del terziario di mercato meridionali si sono ridotte di oltre 24mila unità su un saldo complessivo nazionale negativo pari a 69mila imprese». «Anche sul fronte del mercato del lavoro - ha aggiunto - il tasso di disoccupazione al Sud ha raggiunto il 21,5%, contro una media italiana del 12,7%».

ISTAT: PIL E CONSUMI AL SUD NETTAMENTE INFERIORIGià lo scorso 18 dicembre, Confassociazioni aveva presentato a Napoli il suo Manifesto per l’Innovazione del Sud Italia, un manifesto che partiva proprio dagli ultimi, preoccupanti, dati.  E le stesse stime dell'Istat sono chiare: il Sud della nostra penisola, che rappresenta il 35% della popolazione, ha un Pil pro capite di 17,2mila euro, contro  i 31,7mila euro del Centro Nord. Una differenza che si riflette evidentemente sui consumi delle famiglie, che vanno dai 18.300 euro del Centro Nord ai 12.500 del Mezzogiorno.

NEL MEZZOGIORNO, 40% DELLA POPOLAZIONE A RISCHIO POVERTA' - D’altronde, una ricerca condotta dal Centro studi della Cna e diffusa lo scorso dicembre ha rilevato come siano 17,3 milioni gli italiani a rischio povertà ed esclusione sociale, di cui la maggioranza concentrata proprio nelle regioni del Centro Sud: il disagio economico in Sicilia riguarda ormai oltre il 55% della popolazione e supera il 40% in tutto il Meridione, tranne che in Sardegna (31,7%) e Abruzzo (26,2%). Sono dati che pongono un terzo del Paese al livello delle regioni più povere di Bulgaria, Grecia, Ungheria. Ma, rispetto alle economie più avanzate della Ue, ai concorrenti diretti del nostro Paese e all'Eurozona (23% di popolazione a rischio povertà), anche Lazio (26,6%), Liguria (24,5%), Marche e Umbria (23,3%) appaiono in situazione critica. Viceversa, i valori di Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte non si discostano più di tanto da quelli dei Paesi nordici: un dato che fotografa eloquentemente l’immagine di un Paese letteralmente spaccato in due. Un Paese percorso continuamente da flussi migratori interni, che risalgono lo stivale alla ricerca di una vita migliore. Nel solo 2013 sono stati 133mila i meridionali che si sono spostati al Centro Nord, spesso per attivare o proseguire iniziative imprenditoriali. Fare impresa al Sud, infatti, è sempre più difficile e soprattutto meno redditizio. Nel Mezzogiorno il reddito medio delle famiglie dove l'entrata principale deriva da lavoro autonomo è di 27.546 euro, a fronte dei 43.272 euro del Nord.

DENATALITA' E EMIGRAZIONE - Ma non si tratta solo di numeri. Perlomeno, sono cifre dai risvolti drammaticamente concreti. L’ultimo rapporto Censis, infatti, ha sottolineato una delle conseguenze più negative di tale situazione: la denatalità. Se già il nostro Paese non brilla per tasso di natalità – attestandosi costantemente agli ultimi posti delle classifiche mondiali –, al Mezzogiorno la situazione si aggrava notevolmente, vista l’incertezza occupazionale ed economica: nel 2013, il numero dei morti ha superato quello dei nati, e 116mila persone hanno lasciato il proprio territorio d’origine. Tutte cifre ben giustificabili, considerando che, tra il 2008 e il 2013, delle 985mila persone che hanno perso il lavoro, 538mila – più della metà – è residente nelle regioni meridionali. Regioni dove, pur essendo presente solo il 26% degli occupati italiani, si concentra il 60% delle perdite occupazionali. E se si pensa che, dietro a questi numeri spaventosi, si nascondono le storie di famiglie, bambini, giovani e meno giovani  prostrati dalla crisi e dall’incertezza, si comprende perché una risposta politica non può più farsi attendere. Una risposta che è sempre mancata, a partire dagli albori della storia d’Italia.